Bologna, 1709: Lucia Cremonini, figlia di una donna rimasta vedova, è vittima di uno stupro da parte di un “prete giovane” e rimane incinta. Serva nelle case di città e dunque poverissima, avrebbe potuto godere di una dote che la città assegnava alle più indigenti per maritarsi, ma nel caso fosse rimasta incinta da nubile avrebbe perso, oltre alla dote, anche l’onore e la possibilità di ambire ad un marito. Lucia decide perciò di nascondere la gravidanza, partorisce da sola e uccide il figlio. In un primo momento nega tutto, poi, incastrata dall’evidenza, confessa. La madre si schiera contro di lei, Lucia è sola, come sola era stata durante la gravidanza, come sola era stata sempre, dal momento che essendo povera, orfana di padre e senza marito in una società dove la donna era soggetta all’autorità maschile, si trovava in una condizione di isolamento estremo. Nel 1710, nella Bologna papalina, un anno dopo aver commesso l’omicidio, Lucia viene impiccata. Lucia sola subisce tutte le conseguenze del suo gesto, fino alla dissezione pubblica del suo cadavere per una lezione di anatomia in piazza. Ma, prima di questo, la confraternita di Santa Maria della Morte, che aveva preso in carico Lucia, era riuscita, grazie ad un po’ di calore, conforto e gentilezza, a consegnare al patibolo una Lucia madre esemplare, che, senza proferire un grido, accetta la sua condanna a morte come espiazione della colpa commessa, non senza prima chiedere perdono alla folla. La storia di Lucia costringe il lettore a riflettere su molte questioni. Lucia non dette un nome al figlio ed il bambino non fu battezzato. In questo modo impedì al bambino la seconda nascita che l’avrebbe iscritto di diritto nel Libro della Vita. Il bambino restò senza nome e dunque senza sepoltura. Lucia era dunque colpevole di un crimine gravissimo: aveva dato e tolto l’anima al figlio, si era avocata un diritto divino. Se sostituiamo la parola anima con la parola vita possiamo forse capire più facilmente la necessità e l’obiettivo del potere (religioso, politico, scientifico) di controllare la produzione della nuda vita, forma di controllo che passa inevitabilmente, oggi come ieri, sul corpo della donna. Il problema non è di poco conto, la vita della donna è “uno” con quella del figlio a cui, come nel caso di Lucia, lei dà la vita, ma anche la morte. L’entità è unica e duplice, “la vita e la morte del figlio derivano da lei e su di lei reagiscono in un legame indissolubile, di cui è parte essenziale la violenza fatta e subita” (p. 356). Il nodo da sciogliere è definire quale sia l’identità di un essere umano, domanda che riguarda la conoscenza storica ed alla quale il libro di Adriano Prosperi dà un grande contributo di ricerca.