Questa Religions philosophie di B. Welte, morto nel 1983, tra i maggiori studiosi contemporanei di filosofia della religione, si segnala per la sistematicità e la chiarezza della trattazione, facilmente compresibile anche ai non iniziati, e soprattutto per lo sforzo di rapportarsi alle istanze più significative del pensiero e della cultura contemporanei, nel lavoro inteso a "riprodurre nel pensiero quello che la religione è nella realtà" (p. 231): questo significa appunto fare filosofia della religione.
Poste le debite premesse intorno al senso del pensiero filosofico in generale, al concetto di religione e al significato della riflessione filosofica su di essa, abbozzato il contesto problematico in cui quest'opera del pensiero viene a situarsi, l'autore procede a due "itinerari verso Dio", che argomento in modo non stringente, e tuttavia tale da soddisfare a insopprimibili esigenze razionali, l'esistenza del "mistero assoluto". Ambedue le "vie" muovono da problematiche heideggeriane: quella antropologica del "senso" e quella 'ontologica dell'"esser-decisi" degli enti, cioè dell'effettiva esistenza di una realtà in generale. Ma nell'uno come nell'altro caso, argomenta Welte, ci scontriamo col limite avvolgente del nulla. Questo però non può essere interpretato come "niente puramente vuoto e nullo", ma piuttosto come "nascondimento assoluto" di una realtà fondante, il mistero assoluto. Questa realtà ha carattere personale, divino, è soggetta al mutamento storico quanto alla sua ricezione nelle diverse culture, ed è infine oggi messa in discussione dall'ateismo. Ma la vera chiave di volta di questa seconda parte del libro di Welte, "Dio come principio della religione", è il cap. 7, in cui vengono esaminate "alla luce della tradizione" (sono considerati Tommaso, Anselmo e la discussione critica di Kant) i due itinerari sopra delineati: segno della continuità tra antico e moderno, tradizione filosofica e sensibilità contemporanea, in cui Welte intende collocarsi.