«Nel cristianesimo, così radicato nella storia e nella stessa carne umana, trovo una totale valorizzazione dell’uomo, nel senso che essa è una fede capace di orientare e di portare a pieno sviluppo ciò che vi è di più autentico nell’uomo». In questa affermazione trova esplicitazione il significato del presente saggio, che mira a svelare quale può essere oggi il ruolo dei cristiani, partendo da una rilettura puntuale degli elementi caratterizzanti il messaggio e la vita di Gesù Cristo. Si può così riflettere sul fatto che l’universalismo (la cattolicità), l’essere stranieri, l’umiltà, la carità, possono rivelarsi strumenti di straordinaria utilità per la costruzione e la difesa di una società più tollerante, giusta, rispettosa e non violenta. In numerose occasioni Enzo Bianchi ha ripetuto l’allarme che il nostro mondo sta scivolando «a piccoli passi verso la barbarie»: per contrastare questa deriva occorre riscoprire e vivere il cuore del messaggio cristiano, che deve abbandonare ogni tentazione di autosufficienza e deve tradursi in pratica di comunione e di reciprocità. Ciò che deve accompagnare il cammino del cristiano nel mondo, sottolinea il priore della Comunità di Bose, è la riscoperta dello scandalo della croce, cioè la forza della debolezza, la non presunzione, l’umiltà, che non significa una religiosità senza mondo, ma un rifiuto di far coincidere salvezza ed etica, evangelo e legge. Una Chiesa che non tiene viva la memoria delle parole pronunciate sulla croce sarà fortemente tentata da antichi e nuovi trionfalismi, da separazioni che l’allontanano dalla prassi della solidarietà. Quella solidarietà che conduce a gettare uno sguardo nuovo sulla storia del mondo, sulle qualità buone della storia, su cui riposa la benedizione di Dio. La Chiesa deve vigilare, avverte Bianchi, affinché la ricchezza della fede non sia appiattita su un messaggio etico senza sapore ed è chiamata a mostrare in se stessa un’epifania delle parole della croce, comunicando autenticamente senza latitanza, ma anche senza arroganza: insomma il cristianesimo deve rendere possibile la comunicazione tra tutti gli uomini, la costruzione della “compagnia degli uomini”, cioè un dialogo anche con i non cristiani. Per fare questo occorre riscoprire e vivere la condizione della xeniteìa, della “stranierità”, la condizione di chi rifiuta ogni logica di patria, di chiusura, per ribadire che la certezza della fede risiede nel rischio di uscire da sé (di “perdere la propria vita”) per affidarsi a Dio. In questo modo l’esistenza umana può diventare, nella sequela di Dio, una vita buona (amando gli altri), bella (con la gioia dell’amicizia e della contemplazione del creato), felice (in quanto dotata di senso).