Con un serrato andamento dialettico, questo testo affronta una questione di centrale importanza non solo per il pensiero filosofico-politico moderno, ma anche per l’esistenza concreta delle società contemporanee. In sede teorica è cresciuto il bisogno di ridefinire un’analitica del potere che includa la sovranità come una delle sue principali caratteristiche, ma che sia anche capace di parlare dei tipi di mobilitazione popolare e di contenimento statale delle azioni "dal basso" non concettualizzabili come atti della sovranità e che procedono attraverso differenti operazioni del potere degli Stati. Alla luce della ricostruzione storica della genesi delle dittature europee e della Seconda guerra mondiale, insieme ai momenti decisivi di tali processi (antisemitismo e imperialismo) condotta da Hannah Arendt, e dopo il tentativo dell’ultimo Foucault di misurarsi attivamente con la questione morale e politica elaborata da Nietzsche – che si definisce nel riconoscimento del carattere non semplicemente brutale della repressione e del controllo sociale – in questo libro Butler e Spivak discutono le problematiche conseguenti alla drammatica condizione dell’"essere senza Stato" in un mondo ormai globale. Lontana da un approccio ingenuamente ideologico, Judith Butler apre la sua indagine ponendo alcuni interrogativi fondamentali con implicazioni sul fronte sia teorico che politico. Una volta preso atto che nell’era della globalizzazione forzata, lo Stato-nazione, con la sua identità monolitica, è destinato a un progressivo tramonto, Butler si interroga sulle forme e sulle esperienze di appartenenza a uno Stato, al di là del rigido confine territoriale. Se lo Stato è quel potere che lega rinforzando i vincoli di prossimità, esso è pronto al contempo a espellere gli indesiderati, spesso con pretesti dalla dubbia legittimità. Molti migranti, infatti, quando non vengono espulsi dagli Stati in cui hanno trovato rifugio, vengono dotati di una cittadinanza solo "differenziale e selettiva", benché la loro vita resti di fatto completamente immersa nel "potere". In tutti questi casi, secondo Butler, non si tratta di un ritorno a una "nuda vita", perché i soggetti si trovano inseriti nelle maglie di un potere che produce e favorisce questa condizione di precarietà, destituzione e dislocamento. Continuando a nutrire un vivo interesse per Hegel, Spivak afferma subito la sua netta opposizione al capitalismo neoliberista, con l’intento di ripensare una forma di Stato libera da nazionalismi e fascismi. Di fronte allo sviluppo dello Stato manageriale sul modello del libero mercato, Spivak si concentra sulle aporie economico-politiche derivanti dalla rimozione delle barriere tra le fragili economie di Stato e il capitale internazionale, restando ben consapevole della necessità di proteggere lo Stato come "struttura astratta minimale" nella sua funzione redistributiva. In conclusione, Butler e Spivak invitano a ridefinire lo Stato proprio a partire da tutto ciò che ne minaccia la sopravvivenza.