La seduzione esercitata dalle arti visive dipende forse dalle strategie con cui esse sottraggono alla presenza ciò che si vede, oltre che dalla loro capacità di destare stupore vincolandoci a ciò che mostrano? La risposta affermativa a questo quesito costituisce il principale impegno dell’autore che, con il presente volume completa idealmente il percorso iniziato con l’Arte della meraviglia, risolvendo il rapporto dell’arte alla verità nel movimento con cui essa “ci prende e ci perde”. Il sapiente esercizio della curiositas, virtù intermedia tra la memoria e la dimenticanza, consente a Brusatin di rivelare i ”trucchi” di un’arte dell’oblio operante nelle produzioni estetiche secondo le modalità del dissolvere e dello sparire, dello sfumare e dello scolorire. Lo sfondo di assenza di cui si compone ogni nostro atto di visione, tuttavia, in nessun caso comporta un invito all’oblio dell’arte, ma anzi offre lo spunto inesauribile per narrarne di nuovo le storie. Le Grazie – anche quelle di Canova – disperdono la loro bellezza su di noi, senza computare le quantità del dare e dell’avere: le figlie di Oblio e di Notte alludono con il loro apparire alla spontaneità di un dono infinito che dimentica continuamente se stesso. La pittura delle rovine segnala l’inarrestabile stratificazione del passato che le condanna ad una contraddittoria memoria dell’oblio, così come le varie versioni dell’Isola dei morti di Böcklin aprono su una realtà sospesa in cui la morte della bellezza classica non lascia immaginare delle direzioni possibili. La storia dei camini e delle stufe ci induce a ripensare al prodigio del fuoco che arde il legno dissolvendosi in fumo e, pertanto, al ciclo quotidiano dell’attività e del riposo domestico, nonché ai vapori ed alle esalazioni polverose che, ad esempio in Leonardo, divengono il medium del colore dell’aria, da dipingere come un velo di oblio che si deposita sulle cose. L’ispezione dei luoghi del vuoto comincia dall’interno di una chiesa in cui Saenredam ha dipinto dei quadri obliqui e privi di immagini, appesi alle colonne, significando la fine della pulsione visiva mediante il disorientamento dello sguardo frontale e l’annientamento del referente, così anticipando le astrazioni di Malevic e di Kandinskij. I colori dei quattro elementi cessano di fungere da attributi degli oggetti sostanze e vengono invece colti nello scorrere delle cascate, nei soffi di vento, nella combustione delle fiamme, divenendo dei puri valori di transizione da uno stato colorato all’altro, in modo da suggerire un cosmo meno appariscente in cui le cose indugiano prima di manifestarsi.