Inizialmente concepito come un meccanismo in grado di controllare un popolo del quale, contemporaneamente, si proclamava la sovranità, il governo rappresentativo si è evoluto considerevolmente nel corso della storia moderna. È stato investito e trasformato da numerose lotte sociali e le sue attuali difficoltà obbligano a fare una scelta netta tra opzioni profondamente contraddittorie. La prima sogna di depoliticizzare ancora di più la decisione pubblica a favore di tecnocrati, in nome di un governo di «saggi» (ormai ribattezzati «esperti»). Un’evoluzione, politicamente contestabile, che sarebbe comunque di dubbia efficacia in un mondo incerto nel quale i saperi non possono che essere declinati al plurale. La seconda, apertamente reazionaria, glorifica il ritorno alle tradizioni (definite, per l’occasione, «repubblicane»), deplora la «perdita di valori» e del «senso di autorità», critica la decadenza scatenata dall’uguaglianza e dall’individualismo democratico e cerca di riallacciare i fili con la grandezza passata della Nazione e del suo modello sociale e culturale. Di fronte all’indebolimento del tradizionalismo difeso da questi nuovi conservatori, e consci dei limiti della razionalità tecnica e burocratica, ci sono poi coloro che difendono una terza opzione e puntano, come Max Weber prima di loro, sul crescente ricorso a meccanismi plebiscitari e carismatici. Eppure, viste le esperienze tragiche del secolo passato, e la mediocrità attuale di pseudo-carismi istituzionalizzati, non è forse preferibile fare un’altra scommessa e puntare sulla qualità discorsiva del dibattito pubblico e sul controllo dei governanti da parte dei governati? (…)
La riflessione sul tema della rappresentanza condotta a partire dal sorteggio mostra come la composizione sociale del corpo dei rappresentanti meriterebbe di essere diversificata. Delle leggi sulla parità tra uomini e donne potrebbero essere ridiscusse al fine di imporre davvero un’uguale partecipazione dei due sessi alla politica, aspettando un futuro, chissà magari non troppo lontano, nel quale i cambiamenti sociali e culturali renderanno inutili queste disposizioni legislative. D’altro canto, sarebbe urgente aprire la sfera della rappresentanza politica a fette di popolazione (classi popolari, immigrati) che oggi occupano una posizione marginale. (…) L’obiettivo è la realizzazione di una vera democrazia partecipativa, capace di rompere con il monopolio degli eletti nella definizione dell’interesse generale e di non cadere negli ostacoli della democrazia mediatica o perdersi nei meandri di una governance esercitata da gruppi di interesse fuori controllo.(da Y. Sintomer, Il potere al popolo. Giurie cittadine, sorteggio e democrazia partecipativa, Bari, Dedalo, 2009, pp. 199-201)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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