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La solidarietà, nel significato comune reperibile nei dizionari, è intesa come una convergenza o concordanza intersoggettiva di idee, sentimenti, interessi e anche come la coscienza di appartenere a una stessa comunità. Rimane tuttavia difficile isolare una dimensione della solidarietà – per esempio l’accordo o la consapevolezza – giacché essa abbraccia nel contempo sia la coscienza, sia il modo di esistere e le relazioni.
D’altro canto, mi sembra che in questo concetto siano compresenti due versanti: quello del legame intersoggettivo reciproco e quello dell’aiuto verso chi si trova in posizione di debolezza. La solidarietà comporta sia l’essere insieme, il sentire e l’agire di concerto, sia il fermarsi ad aiutare chi si trova in difficoltà senza abbandonarlo. Questo secondo versante del concetto di solidarietà è scolpito in un’affermazione di Luigi Pintor che da sola basta a riassumere i significati che cercherò di delineare in queste pagine: «non c’è in un’intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi» […].
È importante che i due versanti si richiamino l’un l’altro indissolubilmente: non c’è comunanza o reciprocità se non si è disposti all’aiuto, non c’è vero aiuto se non in una prospettiva di co-soggettività e di pari dignità invece che nell’ottica paternalista dell’assistenza e dell’elemosina di uno che sta in alto a uno che sta in basso. È saggio riconoscere che comunione e servizio vanno di pari passo. La solidarietà possiede questa complessità di significati che, a ben vedere, restano uniti anche nel misconoscimento: infatti tuttora essi spesso sono entrambi compromessi, stravolti o ignorati […].
Per cogliere lo specifico della solidarietà, è opportuno riprendere un’intuizione di Aldo Capitini, il grande filosofo della nonviolenza e della vita comune coltivata con gentilezza e dedizione. Egli riconosce come quella che scontatamente chiamiamo “realtà”, e identifichiamo con i fatti e gli eventi intorno a noi, in verità possiede dimensioni e gradi differenziati.
In primo luogo sperimentiamo la realtà insufficiente, ossia una vita segnata dai limiti, dalla malattia, dalle incomprensioni, dai fallimenti, dalla cattiveria, dal male e dalla morte. La nostra comprensione della vita stessa, però, può approfondirsi, dilatarsi, e ciò accade nel momento in cui ci rendiamo conto di partecipare alla realtà di tutti. Scopriamo allora che siamo legati da un vincolo di fraternità, che nessuno è destinato a restare solo e a essere cancellato dalla morte, che la vita è una comunità in cammino verso una salvezza senza esclusi.
Non si tratta tuttavia soltanto di una futura meta di redenzione e di felicità comune. Bisogna imparare a vedere, al di là della pressione dei colpi che si ricevono nella realtà insufficiente, la crescita della realtà liberata. Con tale espressione Capitini intende riferirsi a quel nucleo di esperienze e di dinamiche del bene che giorno per giorno già rinnovano l’intera realtà e impediscono al male di conseguire la sua vittoria sull’umanità. La realtà liberata è come un seme che cresce e nella misura in cui si diffonde riscatta la realtà insufficiente, illuminando la realtà di tutti.
Ebbene, ciò che chiamiamo solidarietà, a mio avviso, è proprio la cosciente risposta che sorge in quanti scoprono la realtà di tutti e scelgono di aderirvi con fedeltà. Non bisogna pensare all’atteggiamento o al gesto occasionale di un individuo che per il resto continua normalmente a sentirsi un’entità a sé stante. La solidarietà è un modo di vivere, anzi di convivere, assumendo la propria quota di responsabilità per lo svolgersi della realtà di tutti.
(da R. Mancini, S come Solidarietà, Assisi, Cittadella Editrice, 2013, pp. 7-11)*
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