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Se si va a guardare più a fondo nel significato del «linguistic turn», della svolta linguistica, e in parallelo nelle altre tecniche costruttivistiche nelle diverse forme della cultura contemporanea, quello che troviamo e che a nostro giudizio costituisce la svolta cruciale rispetto alla tradizione, è il passaggio da una cultura della rappresentazione accurata della realtà, assunta come principale motore di ricerca, ad una nuova, inedita cultura che nei più diversi campi e nelle più svariate forme non ha più per oggetto la rappresentazione di qualcosa, di un mondo davanti «out there», là fuori, come ha sottolineato Rorty a partire dalla sua prima opera di rottura, La filosofia e lo specchio della natura. Si tratta di una nuova cultura che manifesta di essere fondamentalmente impegnata nell’analisi, nell’illustrazione e nell’esemplificazione dei propri repertori simbolici e delle proprie strumentazioni linguistiche. Si tratta della svolta della più grande importanza. Nelson Goodman ha privilegiato i sistemi di rappresentazione e di descrizione rispetto alla sfera dei loro referenti, i quali, considerati indipendentemente dalle strutture simboliche di riferimento, perdono qualsiasi significato e consistenza: «Il nostro orizzonte è costituito dai modi di descrivere tutto ciò che viene descritto. Il nostro universo consiste, per così dire, di questi modi piuttosto che di un mondo o di mondi». Non c’è la base neutrale di una sostanza che sta sotto le differenti versioni del mondo. Quando Goodman dichiara «il mio approccio consiste in un’indagine analitica sui tipi e sulle funzioni dei simboli e dei sistemi simbolici», egli non sta specificando una varietà professionale del suo lavoro intellettuale, ma sta riconvertendo il lavoro filosofico nella direzione e nei termini di un assetto positivamente autoreferenziale delle proprie strumentazioni e delle proprie possibilità. Anziché pretendere di descrivere il mondo nel modo in cui esso è, la filosofia, dopo il «linguistic turn», diventa l’illustrazione delle sue stesse strutture formali. L’opera di Wittgenstein è una molteplice testimonianza della circostanza che nozioni quali «essenza», «realtà prima», di cui ha parlato tutta la tradizione metafisica, esprimono soltanto il nostro profondo bisogno di una convenzione.
(da A.G. Gargani, Wittgenstein. Dalla verità al senso della verità, Pisa, Ed. Plus, 2003, pp. 154-156)*
Riferimenti Bibliografici
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