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La sociologia dei movimenti ha in effetti ormai da alcuni decenni sviluppato uno strumentario concettuale utile anche agli storici per affinare le categorie analitiche con cui addentrarsi nel lavoro empirico della ricerca. A sua volta anche la sociologia ha dovuto confrontarsi con il divenire storico e la specificità di contesti spaziotemporali precisi per superare gli schematismi classificatori e la passione per la modellizzazione che spesso irrita gli storici. Grazie al dialogo e alla disponibilità alla ricerca interdisciplinare manifestatisi su entrambi i fronti, possiamo oggi ricorrere a una nozione di movimento sociale che ci consente di non assumere in maniera acritica le autorappresentazione degli stessi soggetti studiati e, di conseguenza, di avvicinarci con maggiore sensibilità analitica a casi eterogenei di movimenti collettivi. Con riferimento a una sintesi storico-sociologica, assumiamo la definizione di movimento sociale quale attore collettivo che si forma per una certa durata nel tempo, sviluppando sentimenti di appartenenza collettiva e di integrazione simbolica sulla base di un orientamento valoriale fortemente condiviso e animato da istanze di trasformazione volte a incidere sull’ordine sociale e dunque anche sui rapporti di dominio esistenti. […] Riportando il ragionamento sul contesto storico dell’Italia repubblicana, si può notare che dalla seconda metà degli anni Cinquanta si avvia una fase segnata dal susseguirsi di movimenti collettivi che si formano su istanze a volte piuttosto circoscritte, a volte palesemente universali, che vivono momenti di grande visibilità e impatto per poi entrare in una fase di declino, disgregazione o trasformazione – ciò che è fisiologico per la vita di qualsiasi movimento sociale. Movimenti che necessariamente interagiscono con l’ambiente politico e sociale circostante, provocando atteggiamenti di solidarietà e condivisione, critiche, prese di distanza, repressioni o, al contrario, aperture o tentativi di inclusione. Il dialogo con le istituzioni, e con i partiti politici in primo luogo, è pertanto un dato fondamentale poiché è un indicatore significativo di un rapporto dialettico, pur se spesso difficile e conflittuale, tra società civile e istituzioni, tra cittadini e governanti. Tale dialettica vive momenti molto difficili durante gli anni Settanta, si protrae tuttavia fino alla metà degli anni Ottanta, fino a quando cioè il sistema politico riesce in qualche modo a essere un riferimento e un interlocutore fondamentale. Entra poi in fase di irreversibile declino sul finire del decennio, in concomitanza con il tracollo della “Repubblica dei partiti”.
(da M. Tolomelli, L’Italia dei movimenti. Politica e società nella prima Repubblica, Roma, Carocci, 2015, pp. 13-16)