Rassegna
Matrix Reloaded
di Andy e Larry Wachowski (USA 2003) 137’
Venerdì 19, ore 10.00 circa, preceduto dalla Lezione magistrale di Giulio Giorello
Nei 1440 giorni passati fra la deflagrazione di “Matrix” e l’arrivo di “Matrix Reloaded” sono usciti 5 libri interamente dedicati alla rilettura seria del film; due i temi preferiti, “Matrix e la filosofia” e “Matrix e la religione”. Neo nasconde i dischetti pirata nell’edizione americana di “Simulacri e simulazioni” di Jean Baudrillard, per il quale la realtà è già stata sostituita dall’iperrealtà, Las Vegas è già la vera America, e forse il mondo. Ma c’è tanto Platone, col mito eterno della caverna, sia pure riflesso nello specchio di Alice. Sorprendenti frequentatori di mitologie antiche e moderne (Superman e l’Odissea), i Wachowski, che pure a scuola erano un disastro, hanno una passione da secchioni per matematica e religione. Disseminati qua e là nomi, simboli e cifre, sfidano di continuo lo spettatore (in “Reloaded” da decifrare il fatto che il futuro della razza umana sarebbe affidato a 23 persone, 16 femmine e 7 maschi, mentre 314 sono i secondi per arrivare dall’Architetto e 27 gli isolati da neutralizzare). Neo, anagramma di One (ma non di Noè, perché manca l’accento, quindi niente diluvio…) è ovviamente il Redentore. Tutte le sue stanze hanno il numero 101, mentre Trinity, lo Spirito Santo, è al 303. La nave di Morpheus, dio dei sogni, ma in questo caso Giovanni Battista, si chiama Nabucodonosor come il re babilonese del Vecchio Testamento che conquistò Gerusalemme. Zion nella Bibbia è proprio Gerusalemme, la città di Dio. Cypher è chiaramente Giuda, che tradisce, gustandosi un’ultima cena con l’agente Smith, che altri non sarebbe che il più bieco dei centurioni romani. Perfino l’impiegato della Federal Express che porta il cellulare con cui Morpheus tenta di guidare Neo verso la verità, potrebbe essere un arcangelo in vena di annunciazioni. E ci permette di scoprire anche un segreto non religioso: Neo è mancino; anche se spara con tutte e due le mani, la ricevuta la firma con la sinistra. Tank, il membro dell’equipaggio che salva Neo (e la possibilità di una trilogia), sarebbe un angelo custode, pronto a intervenire quando il diabolico Cypher (è anche l’abbreviazione di Lucifero) dice a Neo che per salvarsi gli ci vorrebbe un miracolo. Tutti i personaggi corrono verso la luce, da Trinity che nel primo film non esita a volare nella finestra illuminata del palazzo di fronte, a Neo che in “Reloaded” cerca espressamente la Sorgente luminosa. La pillola è rossa per il sangue di Cristo e Neo, una volta scoperto il segreto della Matrice, cade nell’acqua, fonte battesimale. Perfino l’animalaccio che gli infilano nell’ombelico e che Trinity gli estrae è un’allegoria: estirpare i peccati del mondo. Amen.
A.I. Intelligenza Artificiale
di Steven Spielberg (USA 2001) 145’
Sabato 20, ore 21.00
Di Stanley Kubrick, l’idea straziante e sublime dell’eternità, del tempo ciclico e immobile, della macchina che impara a conoscere e a sentire la paura e l’angoscia e, in un futuro non precisato, ad amare; l’idea che gli “shining” siano intuizioni, memorie anticipate, cortocircuito tra un mondo sensibile e un mondo metafisico, tra la Natura e la Scienza, il caso e il destino rivelati solo attraverso le immagini (del cinema). Di Steven Spielberg, l’angoscia di un bambino, David o E.T., che vuole tornare casa, la nostalgia di un non vissuto, la forza degli affetti e dei sentimenti, il terrore dell’intolleranza (“orga” che annientano i “mecca”) in campi – luna park e in fiere della carne dove la storia si ripete, la fascinazione per il cinema come moderna, ultima nella scala evolutiva dell’intrattenimento, macchina delle favole, la speranza di incontri ravvicinati finalmente possibili quando gli esseri umani avranno ceduto il loro posto (nel mondo) agli esseri meccanici, ad altri organismi venuti da una galassia – isola che non c’è, alle intelligenze artificiali assemblate in laboratorio da malinconici padri – scienziati di creature imperfette. “A.I.” diretto da Spielberg, da un progetto incompiuto di Kubrick, è un film molto bello, dalla doppia personalità, diviso in tre atti distinti e non omogenei, aperti e chiusi da un ideale sipario di buio e di luci, con magnifiche invenzioni visive (Manhattan con le sue torri sommerse dalle acque, la città dei balocchi, dell’eros e della conoscenza, il laboratorio della falsa vita), con due compagni di viaggio, Teddy, il sapiente orsetto di stoffa che conosce il valore del tempo, e Gigolò Joe (interpretato da un Jude Law, usato dalla regia come impronta esemplare di un replicante buono) che ha le movenze di un irrigidito Gene Kelly. Pinocchio, Robin Hood, la fantascienza di Isaac Asimov, gli altri film di Spielberg, “2001 Odissea nello spazio” partecipano all’avventura incantata e commovente del fanciullo meccanico che voleva diventare umano, dormire ed essere amato. Il bambino, con i suoi sensi, fatti di chilometri di fibre, di schede e di silicio, “vede” gli esseri umani e gli “alieni” e riporta in vita la madre morta nelle poche ore che restano di un giorno e di un’epoca. Come in una fiaba, in un sogno realizzato, in una visione, David abita una casa che non esiste più, ma è calda, luminosa, protettiva e avvolgente: un’astronave proiettata o perduta oltre i confini di un universo dove si disegnano e si raccontano le avventure di esseri fragili che ignorano perché siano nati. E ai quali non basteranno duemila anni (luce) per diventare grandi.
EXistenZ
di David Cronenberg (Canada/USA/GB 1999) 94’
Domenica 21, ore 21.00
E’ un gioco, un gioco del quale non si conosce lo scopo finché non lo si gioca, un gioco nel quale assumi un carattere che ti fa fare e dire cose che mai faresti o diresti nella vita reale, far l’amore con una donna che prima ti metteva soggezione, divorare un mutante cucinato in umido al quale ti eri affezionato, uccidere gratuitamente un cameriere cinese o un vecchio maestro perché, tanto, sono solo altri personaggi del gioco. Non sono reali. Ma forse non lo sei nemmeno tu nel momento in cui credi di esserlo ridiventato. E forse tutte le realtà successive alle quali ti sembra finalmente di risvegliarti sono invece caselle del percorso nel quale ti sei tuffato nel momento in cui hai aperto la “bio – porta”, una porta nel tuo corpo che ti collega con un cordone ombelicale alle porte altrui, una porta fatta della materia di cui sono fatti i sogni. E gli incubi. “eXistenZ”, che dà il titolo al film di Cronenberg, è un gioco di simulazione vissuto dal vivo, in uno stato a mezza strada tra il nostro e un futuro indeterminato. Come in “Crash”, siamo in una terra di nessuno, perfettamente riconoscibile, ma un gradino più in là della percezione quotidiana; una terra acquattata tra le pieghe del tempo, dello spazio e della coscienza. Tutti giocano, in un incastro di scatole cinesi sempre più vertiginoso, e trascinano lo spettatore in un’identica sensazione di indeterminatezza. Fuori e dentro il film (il mondo di “eXistenZ”, a un certo punto, è descritto con termini specificamente cinematografici: dissolvenze, stacchi lenti, salti bruschi), fuori e dentro le realtà confinanti che rimandano ai mondi paralleli di Philip Dick, all’arte stessa della narrazione (la prima ispirazione à nata dalla storia di Salman Rushdie, costretto a nascondersi per la condanna a morte emessa dai fondamentalisti islamici). Alla fine resta il dubbio: non tanto se siamo ancora nel gioco, quanto, come risponde il protagonista alla domanda “Cosa ti sembra della vita reale, per la quale sei tornato indietro?”: “Mi sembra completamente irreale”.