Prendeva nome dal “segreto”. Oppure dal secretum: studiolo e archivio; luogo delle scritture segrete e della loro custodia. Nell’uno e nell’altro caso, il segretario veniva considerato uno “scrigno”, o uno “stomaco”. Un maestro di discrezione e un campione del silenzio e della segretezza: così si vantava di essere Fulvio Testi. Al segreto dedicò suggestiva e immaginifica voce la “portata seconda” (1657) del lessico morale di Pio Rossi: “Il preziosissimo liquore (il segreto dico) ricerca un vaso capace, cupo, impenetrabile, intero; altrimenti, essendo piccolo e stretto, ridonda e trabocca fuora degli orli”. E si intendevano, per orli, le soglie delle emozioni: sguardi, rossori, sbiancamenti, sospiri; emozioni in genere, da dissimulare tutte nell’inespressività o in una durezza da corazza. In particolare era temibile la lingua incustodita. La bocca, mediatrice tra interno ed esterno. E sulla bocca, che si voleva claustrata, era bene premere forte l’indice. Così come rappresentava la statua di Arpocrate, dio del silenzio. Simile a una statua doveva essere il saggio segretario, consacrato al dio egiziano del gesto passivo: “Ad un segretario si conviene la protezione d’Arpocrate, adorato da quei d’Egitto col dito a la bocca dinotante il silenzio”.
(da S.S. Nigro, Il segretario, in R.Villari (a cura di), L’uomo barocco, Roma-Bari 1998, p.101)
Riferimenti Bibliografici
- T. Accetto, Della dissimulazione onesta, Torino 1997.*
- M. Baldini e S. Zucal (a cura di), Le forme del silenzio e della parola, Brescia 1989.*
- S.S. Nigro (a cura di), Elogio della menzogna, Palermo 1990.
- R. Villari, Elogio della dissimulazione, Roma-Bari 1987.
- R. Villari (a cura di), L'uomo barocco, Roma-Bari 1998.*
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