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Nell’età di Platone, probabilmente con Eudosso, nacque la concezione di sistema deduttivo a partire da principi indimostrabili. Platone si oppose a essa per una concezione più problematica della ricerca filosofico-scientifica. Nella sua scuola il dibattito dovette essere fortissimo. Se confrontiamo il concetto platonico di ipotesi con quello aristotelico scorgiamo un completo mutamento di orizzonti. Per Platone, diversamente da Aristotele, l’ipotesi non è un principio e non è indimostrabile, perché se ne può dare ragione. Aristotele cerca di mantenerne caratteristiche che possano essere fatte risalire a Platone, come la non-necessità, la verosimiglianza nei confronti di un interlocutore e in genere la sua inserzione in un contesto dialettico: in questo senso l’ipotesi occupa una posizione secondaria rispetto ad assiomi e definizioni. Tuttavia anch’essa fa parte di un organismo deduttivo. Ciò significa che la corrente dei sistematici si era definitivamente imposta. La stessa dimostrazione per assurdo, che originariamente aveva caratteristiche autonome, era interpretata come un possibile costituente di un organismo deduttivo. Essa diventava allora una forma di analisi perché riduceva una proposizione a un’altra proposizione già riconosciuta come falsa: ma quest’altra proposizione non è che il contrario di un problema o teorema antecedente. Euclide si trovava quindi di fronte a un terreno spianato da alcuni decenni di ricerca.
(da G. Cambiano, Il metodo ipotetico e la sistemazione euclidea della geometria, in Id., Figure, macchine, sogni. Saggi sulla scienza antica, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006, p. 53)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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