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«Quando sono state stabilite le leggi della prospettiva, l’arte rappresentativa è stata messa al cappio. Si è approntata la stalla nella quale l’artista doveva operare» – così scriveva Malevitch in una delle sue opere più riflessive e pacate. Di fronte a un’affermazione così violentemente paradossale il lettore di oggi può rimanere perplesso: una provocazione così scoperta e risaputa non sembra più invitarlo a pensare. La distanza che ci separa dalle intemperanze dei primi decenni di questo nostro secolo non deve distoglierci dal problema che Malevitch pone di fronte ai nostri occhi, anche perché le sue parole non sono certo una voce isolata. Tutt’altro: uno dei tratti comuni alle poetiche che segnano la storia della pittura del primo Novecento è rinvenibile proprio qui – in un livore anti-prospettico che non si modera nei toni, né si ferma di fronte ai mostri sacri della tradizione. Le ragioni di questo fatto non sono difficili da comprendere. Il rifiuto, così tipico della riflessione novecentesca, di una concezione della pittura fondata sull’imitazione non poteva non trovare nella prospettiva un capro espiatorio, cui ricondurre le colpe di un’arte che aveva creduto suo compito duplicare la realtà. Il disegno prospettico è il disegno della mimesis: il suo titolo di merito sembra racchiuso nel suo restituirci un’immagine fedele della realtà. Riprodurre tuttavia non significa creare, e se si ritiene che l’arte sia innanzitutto creazione, la prospettiva non sarà «timone e guida della pittura», ma un repertorio di regole che di principio si attuano al di qua del terreno propriamente artistico. […]
In questo loro espungere la rappresentazione prospettica dall’ambito dell’arte, le avanguardie novecentesche potevano celebrare la radicale novità di intenti che caratterizzava la loro pittura e che la differenziava da una tradizione che aveva trovato la sua originaria sanzione nelle pagine dell’Alberti. Tuttavia, nel rifiuto della struttura prospettica non si esprime soltanto la convinzione che la pittura non possa coniugare la propria funzione espressiva e creativa con i compiti descrittivi che la tradizione le affidava: a farsi avanti è anche una sensibilità nuova, una nuova poetica dello spazio, che ha forme di volta in volta mutevoli, ma che sembra caratterizzata dal rifiuto della linearità dello spazio prospettico, di quell’ordinato succedersi dei piani che scandiscono il necessario incedere della profondità verso l’orizzonte, verso il limite estremo che racchiude lo spazio intuito. Alla prospettiva geometrica si viene così da più parti opponendo una «prospettiva del sentimento», che mette capo a un’immagine della spazialità libera dalla rigidità e dalla monotonia della scansione geometrica. […]
Nelle pagine di Boccioni, di Klee o di Mondrian il rifiuto della prospettiva lineare non è tuttavia solo una questione che si gioca sul terreno delle poetiche: in tutti questi autori è percepibile lo sforzo di accompagnare a quelle critiche il tentativo di indebolire la pretesa di scientificità e di esattezza del metodo prospettico. In altri termini: non ci si accontenta di respingere uno schema raffigurativo che lega l’arte a un compito mimetico, né ci si limita a scartare un’immagine dello spazio che non esprime più ciò che si sente e si vive, ma si avverte il bisogno di mostrare che la prospettiva non è che una delle possibili tecniche atte a suscitare l’impressione della profondità e che la sua pretesa di valere incondizionatamente non ha un fondamento scientifico, poiché è solo il suo appartenere al cuore della nostra tradizione figurativa che le attribuisce una sacralità che altrimenti non merita. Le regole della prospettiva, si dice, non traggono la loro validità dalla natura della visione, ma sono convenzioni radicate in un peculiare universo rappresentativo – il nostro.
(da P. Spinicci, Il palazzo di Atlante. Contributi per una fenomenologia della rappresentazione prospettica, Milano, Guerini e Associati, 1997, pp. 11-13, 15)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.