La concezione di “profeta” e “profezia” è moderna: essa deriva dall’interpretazione che del profetismo biblico fu data nel secolo scorso. Essa ha condizionato in modo decisivo la storia non soltanto del profetismo biblico e cristiano, ma anche del fenomeno profetico in prospettiva comparata. Due esempi: la monografia di J. Mooney del 1896 sui profetismi degli Indiani del Nord America e la tipologia weberiana. Come la storia stessa del termine prophetes insegna, la profezia ha un legame profondo con la divinazione, con cui condivide, ad esempio, l’elemento della previsione del futuro, ma da cui differisce in modo radicale per il legame particolare che unisce il profeta al suo dio.
In senso lato, il “profeta” è una tipica figura di mediazione tra divino e umano, uno specialista del sacro incaricato della comunicazione tra le due sfere. Questa dimensione dell’oralità, per cui egli diventa il “portaparola” della divinità, permette di distinguerlo da altri specialisti. A partire da questa caratteristica fondamentale, è possibile rintracciare, a seconda dei contesti storico-religiosi, una notevole varietà di situazioni, legate ai modi della vocazione, ai rapporti col potere, al contenuto del messaggio, alle forme di legittimazione, alla professionalizzazione e così via. Dal punto di vista comparativo, le differenze più significative sono però legate al mutare della concezione del dio di cui il profeta è portaparola. Accanto alle figure di profeti tipiche delle religioni indigene, importanti sono i profeti delle religioni del Vicino oriente antico, da Mari al periodo neoassiro. Né queste figure sono assenti nel mondo greco. Nuova è, comunque, la figura di profeta che emerge nel quadro delle religioni di salvezza, a cominciare da Zarathustra, attraverso i profeti biblici e in particolare Mosè fino a Gesù: è la figura del profeta-fondatore, che ha fatto parlare, a proposito di queste religioni di salvezza, di religioni profetiche. Grazie anche alla concezione giudeocristiana del “vero profeta”, figure come Mani e come Maometto si collocano, con tratti di forte originalità, in questa “catena” che genera così una tradizione carismatica alternativa nei confronti dell’istituzione, permettendo di riaprire la rivelazione che sembrava confinata nel canone.
Oltre che costituire un aspetto essenziale nella storia delle tre religioni monoteistiche, in seguito ai processi di colonializzazione il profetismo è centrale nei cosiddetti movimenti messianico-millenaristici. Inoltre, una dimensione profetica è ampiamente presente anche oggi in vari aspetti della religiosità alternativa.
Riferimenti Bibliografici
- Aune D.E., La profezia nel primo cristianesimo e il mondo mediterraneo antico, Brescia, 1996;*
- Boyer P., When Time Shall Be No More. Prophecy Belief in Modern American Culture, Cambridge 1994.
- Cagni L. (a cura di), Le profezie di Mari, Brescia 1995;*
- Chirassi Colombo I. e Seppilli T. (a cura di), Sibille e linguaggi oracolari, Pisa-Roma 1998;
- Clastres H., La Terre sans mal, Paris 1975;
- Colpe C., Das Siegel der Propheten. Historische Beziehungen zwischen Judentum, Judenchristentum, Heidentum und frühen Islam, Berlin 1989;
- Dozon J.-P., La cause des prophètes. Politique et religion en Afrique contemporaine, Paris 1995;*
- Fascher E., PROPHETES. Eine sprach-und religionsgeschichtliche Untersuchung, Giessen 1927;
- Heintz J.-H. (Èd.), Oracles et prophèties dans l'antiquitè, Paris 1997;
- Mooney J., The Ghost-Dance Religion and the Sioux Outbreak of 1890, Washington 1896;
- Overholt T.W., Channels of Prophecy. The Social Dynamics of Prophetic Activity, Minneapolis 1989;
- Tottoli R., I profeti biblici nella tradizione islamica, Brescia 1999.*
Testi di riferimento per la lezione
- Filoramo G., Il profetismo cristiano, in "Hermeneutica", 1999, pp. 27-42.*
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