Occorre delineare una filosofia differente, il cui necessario punto di partenza sia una concezione dell’identità individuale alternativa a quella chiusa e monolitica. Essa è, del resto, resa non solo possibile, ma addirittura inevitabile dagli sviluppi della tecnologia genetica e bionica: il corpo, tutt’altro che un dato definitivo e immodificabile, è un costrutto operativo aperto ad uno scambio continuo con l’ambiente circostante. Non solo, ma ad uno scambio che può trovare il proprio motore centrale nel sistema immunitario. Già la funzione della tolleranza immunologica ne costituisce una prima espressione. Ma forse è la figura dell’impianto – artificiale come una protesi o naturale come un ovulo fecondato nel ventre della madre – a fornirne la testimonianza più intensa. Il fatto che sia proprio l’eterogeneità – e non la somiglianza – genetica del feto a favorirne l’accettazione da parte del sistema immunitario della donna significa che questo non può essere ridotto a una semplice funzione di rigetto nei confronti dell’estraneo, ma che va semmai interpretato come la sua cassa di risonanza interna, come il diaframma attraverso il quale la differenza ci coinvolge, e ci attraversa, in quanto tale. Sottratto alla sua potenza negativa, l’immune non è il nemico del comune – ma qualcosa di più complesso che lo implica e lo sollecita. Non solo una necessità, ma anche una possibilità il cui pieno significato ancora ci sfugge.
(da R. Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita, Torino, 2002, pp. 21-22).*
Riferimenti Bibliografici
– M. Foucault, Nascita della clinica, Torino, 1969;*
– A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Milano, 1983;*
– D. Haraway, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Milano, 1995;*
– J.-L. Nancy, Corpus, Napoli, 20012 .*
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