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Negli ultimi cinquant’anni, le previsioni sociali, economiche e tecnologiche hanno progressivamente assunto una connotazione professionale sempre più esplicita, riuscendo a fornire risultati di grande interesse e cercando di costituirsi come autonomo campo disciplinare. La professionalizzazione delle attività di previsione ha permesso lo sviluppo di metodi di analisi innovativi e più rigorosi. D’altra parte, però, l’evoluzione di nuove capacità di analisi e delle relative tecniche non sembra essere stata accompagnata da una parallela riflessione sulle basi teoriche della previsione, che per la gran maggioranza degli operatori si limitano alla distinzione fra facta e futura introdotta da Bertrand De Jouvenel negli anni Sessanta. La suddetta distinzione ha il pregio di segnalare una differenza immediatamente percepibile, per questa ragione la sua adozione è ampiamente giustificata. Si tratta però di una ripartizione eccessivamente elementare che induce a credere che il futuro sia solo un problema di attitudini mentali. La successiva riformulazione da parte di Wendell Bell della distinzione fra facta e futura introduce nell’ambito dei futura la novità delle disposizioni, ovvero di quelle situazioni che si verificano se adeguate circostanze vengono realizzate. Il problema delle disposizioni concerne la realtà e non più solo le attitudini mentali. In questo modo i futura incominciano a presentare una duplice valenza: alcuni sono legati alle aspettative, alle immagini, alle speranze che abbiamo – e in questo senso hanno una valenza più squisitamente cognitiva – altri sono connessi alle strutture delle realtà attuali, siano esse attive e visibili o siano esse presenti ma inattive, pronte ad attivarsi quando le circostanze lo richiedano o lo impongano. Le disposizioni sono il caso più elementare di latenti, ovvero di quelle dimensioni della realtà che sono presenti in essa come sue effettive determinazioni, ma che non sono direttamente visibili. I latenti sono forze e strutture del reale che lavorano sotto la soglia della visibilità. Non appena si riesce a vedere che non tutta la realtà è superficiale, che ci sono dimensioni del reale che rimangono occultate alla vista e che richiedono una speciale attenzione metodologica per essere rilevate (e quindi portate alla luce), non appena si incominciano a percepire questi aspetti meno ovvi del reale, si capisce che è indispensabile ricorrere a un più sofisticato quadro teorico di analisi. (…) Riassumendo, possiamo concludere affermando che il presente comprende diverse dimensioni, usualmente classificate come oggettive e soggettive. Queste ultime includono il passato attivamente ricordato e il futuro immaginato. Mentre le dimensioni oggettive includono i ritmi naturali e sociali, sia visibili che latenti. La famiglia dei ritmi è caratterizzata da cambiamenti che tendono a ripetersi a cadenza approssimativamente regolare, ma non per questo bisogna commettere l’errore di pensare che tutti i ritmi siano mesoscopici: i cambiamenti stagionali lo sono, le glaciazioni no. Alcuni ritmi sono troppo veloci o troppo lenti per cogliere il ritmo stesso alle spalle dei suoi effetti. Il problema è che i diversi ritmi non sono reciprocamente isolati, ma risuonano e interferiscono gli uni con gli altri. I semi del futuro sono presenti non solo nelle nostre aspettative ma anche nella molteplicità dei ritmi naturali e sociali che sono la realtà, forse soprattutto in quelli che ci sono meno facilmente accessibili.
(da R. Poli, Le basi teoriche della previsione sociale, in S. Arnaldi e R. Poli, a cura di, La previsione sociale. Introduzione allo studio dei futuri, Roma, Carocci, 2012, pp. 23-24, 33-34)*
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