La complessità e l'intensità con cui l'India in vari modi non solo sul piano del pensiero, ma anche su quello mitologico, letterario e artistico ha riflettuto sulla potenza, sulla complessità e sull'ambivalenza del femminile sono stati al centro dell'intervento di Giuliano Boccali, il quale ha fatto riferimento a testi e immagini della tradizione brahmanica, elaborata soprattutto nella seconda metà del primo millennio.
La figura della dea Parvati, una delle grandi protagoniste del mito indiano, è centrale in questa riflessione. Secondo l'ideologia brahmanica ortodossa, infatti, Parvati, sposa di Shiva e dea dalle mille forme, rappresenta il modello divino e perfetto di donna: devota al padre a ancora di più allo sposo, bellissima nella figura, padrona di casa fedele e madre affettuosa, deliziosamente divisa tra il riserbo e il desiderio nei rapporti erotici con il marito, non priva di malizia, sensuale e seducente.
Boccali si distanzia dall'interpretazione degli studiosi indiani, secondo i quali questa immagine della dea rappresenta una valorizzazione della femminilità, che, se non ha riscontro nella società, vale quanto meno sul piano della sessualità e nel riconoscimento del ruolo di madre. La tradizione brahmanica elabora piuttosto, secondo Boccali, un compromesso, un modo di normalizzare e circoscrivere la posizione della donna, esorcizzando per paura l'inconcepibile potenza della sessualità e della femminilità. A livello ontologico-religioso, infatti, la stessa tradizione brahmanica arriva ad una dilatazione della funzione materna generativa del femminile, secondo la quale nella formazione e nel mantenimento dell'intero universo la polarità femminile è assolutamente necessaria e nient'affatto in subordine rispetto a quella maschile. Solo l'esistenza del femminile, infatti, e la sua indissolubile unione con il maschile assicura il ciclico dispiegamento dell'universo e il ritorno all'unità, perché solamente il primo è principio attivo, mentre lo Spirito, maschile, è immoto e inerte.
La funzione generativa del femminile viene così a possedere un carattere ambivalente, perché, se da un lato genera il mondo e quindi i confini dell'esperienza umana del dolore, dall'altro costituisce la via della liberazione e la condizione stessa dell'esistenza del mondo intero e della manifestazione della vita, fino quasi a rendere superflua la polarità maschile.