Zeus convoca il dio Efesto, Atena, Afrodite e altre divinità minori come le Ore, le Horai. Zeus ordina a Efesto di bagnare un po’ di creta con acqua e di modellare una specie di manichino in forma di parthenos, di donna, o più precisamente di fanciulla, in età da marito ma non ancora sposata e che soprattutto non ha ancora avuto figli. Allora Efesto inizia a modellare la statua dai tratti aggraziati di una vergine affascinante. La giovane vergine brilla come le stelle. Efesto posa sul suo capo un diadema da cui esce un velo da sposa. Il diadema è ornato con una decorazione dove sono rappresentate tutte le bestie che popolano il mondo, gli uccelli, i pesci, le tigri e i leoni. La fronte della fanciulla scintilla della forza e della vitalità di tutti gli animali. E’ uno splendore a vedersi, thauma idesthai, una meraviglia che paralizza di stupore e che innamora. Ma Hermes le mette in bocca anche delle parole menzognere, la dota di uno spirito da cagna e di un temperamento da ladro. Il manichino, che è la prima donna e da cui ha avuto origine l’intera “razza delle donne”, si presenta, così come è stato per le parti del sacrificio e per la ferola, con un aspetto esteriore ingannevole.
Pandora entra nella casa di Epimeteo e diventa la prima sposa nel mondo umano. Un giorno, non appena suo marito è uscito di casa, Zeus sussurra all’orecchio di Pandora di aprire la grande giara e di rimettere a posto il coperchio, subito, senza aspettare. Pandora ubbidisce. Si avvicina alle giare, che sono molto numerose; fra queste alcune contengono vino, altre grano e olio, in una parola tutte le riserve alimentari della casa. Pandora solleva il coperchio della giara nascosta e, all’istante, tutti i mali si diffondono nell’universo. Nel momento in cui Pandora rimette il coperchio, resta ancora all’interno del vaso la speranza, elpis, l’attesa di ciò che deve ancora accadere. Elpis non ha fatto in tempo ad uscire dal ventre della giara. Per colpa di Pandora tutti i mali si diffondono nel mondo. Già la sua presenza incarnava ogni male, ora l’apertura della giara non fa altro che moltiplicarli. Di quali mali si tratta? Ce ne sono a migliaia: la fatica, le malattie, la morte, gli incidenti. Le disgrazie sono incredibilmente mobili, si spostano senza sosta, vanno da ogni parte, non restano mai nello stesso luogo. Contrariamente a Pandora, dolce a vedersi e piacevole ad ascoltarsi, i mali non sono mai visibili, non hanno forma e non fanno rumore. E’ stato Zeus a volere che non avessero né corpo né voce, così che gli uomini non potessero anticiparli o evitarli; in questo modo i mali che gli uomini tentano di scampare dimorano acquattati nell’invisibile, indistinti. La donna, unico male che si può vedere e sentire, camuffata grazie alla seduzione sprigionata dalla sua bellezza, alla sua dolcezza e alle sue parole, inganna e affascina piuttosto che spaventare. Uno dei tratti tipici dell’esistenza umana è proprio la dissociazione esistente fra l’apparenza di ciò che si lascia vedere e udire, e la realtà. Ecco dunque la condizione umana così come Zeus l’ha lentamente macchinata in risposta alle astuzie di Prometeo.
(da J.-P. Vernant, L’universo, gli dei, gli uomini, Torino, 2000, pp. 62-69).
Riferimenti Bibliografici
- J.-P. Vernant, Mito e pensiero presso i greci, Torino, 1970.*
- J.-P. Vernant, P. Vidal Naquet, Mito e tragedia nell’antica Grecia, Torino, 1976.*
- J.-P. Vernant, La morte negli occhi, Bologna, 1987.*
- J.-P. Vernant, P. Vidal-Naquet, Mito e tragedia due, Torino, 1991.*
- J.-P. Vernant, Le origini del pensiero greco, Roma, 1993.*
- J.-P. Vernant, Passé et présent, Roma, 1995, 2 voll.*
- J.-P. Vernant, L’individuo, la morte, l’amore, Milano, 2000.*
- J.-P. Vernant, L’universo, gli dèi, gli uomini: il racconto del mito, Torino, 2000.*
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