“Illustri signori dell’Accademia! Mi avete fatto l’onore d’invitarmi a presentare all’Accademia una relazione sulla mia trascorsa vita di scimmia. Non posso purtroppo soddisfare completamente in questo senso la richiesta. Quasi cinque anni mi separano dalla mia vita di scimmia, un periodo forse breve, se misurato sul calendario, infinitamente lungo però a passarlo a galoppo, come ho fatto io, accompagnato a tratti da persone eccellenti, da consigli, applausi e musica orchestrale, in fondo però solo, perché ogni accompagnamento si teneva, per restar nell’immagine, ben lontano dalla barriera. Questa evoluzione non sarebbe stata possibile, se fossi rimasto ostinatamente attaccato alla mia origine, ai ricordi della gioventù. Proprio la rinuncia ad ogni ostinazione costituiva il precetto informatore che mi ero imposto: io, scimmia libera, mi sottoposi a questo giogo. Così però, a loro volta i ricordi si resero sempre più inaccessibili. Se prima il ritorno, quando gli uomini lo avessero voluto, m’era lasciato aperto come attraverso l’immensa porta che la volta celeste forma sopra la terra, questa si faceva sempre più bassa e stretta, quanto più procedeva veloce, a sferzate, la mia evoluzione; mi sentivo sempre meglio e più incluso nel mondo degli uomini; il turbine che mi soffiava dietro dal passato si placò; oggi non è più che un soffio che mi rinfresca i talloni; e lo spiraglio lontano, da cui proviene e da cui una volta passai anch’io, si è fatto così piccolo che se pur mi bastassero le forze e la volontà per tornare a quel punto, mi scorticherei addirittura per passar da lì.”
(Franz Kafka, Una relazione per l’Accademia (1917), traduzione di E. Pocar)