Conferenza pubblica
Qualche riflessione sulla teoria dell’organizzazione di Niklas Luhmann in occasione della comparsa del suo libro “Organizzazione e decisione”
Dirk Baecker
Niklas Luhmann si è occupato per quarant’anni dei temi dell’amministrazione e dell’organizzazione. Il primo articolo della sua bibliografia è intitolato “Il concetto di funzione nella scienza dell’amministrazione” (Verwaltungsarchiv 49, 1958), e i due successivi sono intitolati rispettivamente “L’amministrazione può agire economicamente?” (Verwaltungsarchiv 51, 1960) e “Il nuovo capo” (Verwaltungsarchiv 53, 1962). Volendo, già in questi titoli si potrebbe riconoscere la tensione in cui da allora la ricerca di Luhmann sull’organizzazione si è sempre ritrovata: in primo luogo compiere un lavoro concettuale, secondariamente affrontare dei problemi attuali e in terzo luogo presentare sotto una luce insolita dei fenomeni apparentemente familiari (“Il nuovo capo”).
Nel nuovo capo – scrive Luhmann nel 1962 – si coglie quanto l’organizzazione formale e quella informale siano indipendenti l’una dall’altra. Se il nuovo capo pensa di poter portare avanti in modo più o meno privo di cesure il lavoro di quello vecchio, si rende conto che forse ha le competenze necessarie, ma non i contatti. E se i collaboratori pensano di potersi comportare con il nuovo capo come con quello vecchio, si rendono conto che con quello vecchio si erano stabilite delle consuetudini che il nuovo non può accettare, anche soltanto perché è nuovo.
Qui come altrove ciò che interessa a Luhmann non è presentare queste osservazioni come sue scoperte. Egli parte piuttosto dalla constatazione che questi e altri fenomeni sono assolutamente noti ai membri dell’organizzazione, ma la sociologia non li comprende perché le mancano i concetti necessari per descriverli. Se però sviluppa tali concetti può presentarli in modo da rendere noto e comprensibile anche ai membri dell’organizzazione quel che prima era solo familiare. E la differenza tra organizzazione formale e informale si può sviluppare in modo tale che si capisce perché molti capi sono disposti a tollerare l’infrazione alle norme, la trascuratezza e altre deviazioni minori dei loro sottoposti : ottengono in questo modo un accordo nascosto, una fiducia, e anche un senso di obbligo da parte dei sottoposti sui quali si fonda la possibilità di motivarli ad una disponibilità a lavorare e a prestazioni straordinarie che non si potrebbero ottenere altrimenti.(…)
Con il volume “Funzioni e conseguenze dell’organizzazione formale”, del 1964, Luhmann ha raggiunto il primo vertice della sua sociologia dell’organizzazione. Ci sarebbe voluta una certa familiarità con il particolare senso dell’humor di Luhmann per cogliere già nel titolo l’arguzia del libro. È nascosta nella paroletta “e”, cioè nel fatto che “funzioni” e “conseguenze” evidentemente non sono la stessa cosa. Le si può distinguere: le conseguenze dell’organizzazione possono, ma non devono necessariamente, corrispondere alle funzioni per le quali è stata istituita. E una volta distinte le si può di nuovo mettere insieme (funzioni “e” conseguenze), mostrando così che il fenomeno dell’organizzazione può essere compreso solo se si capisce che le sue conseguenze non corrispondono alle sue funzioni e che la società nel suo complesso – ma anche ogni singola organizzazione e non da ultimo anche le interazioni dei membri dell’organizzazione – nonostante questa separazione, o forse proprio per essa, hanno trovato dei modi e delle possibilità per accettare socialmente l’organizzazione in quanto tale.(…)
Un chiaro esempio di questo modo di lavorare è il libro appena apparso “Organizzazione e decisione”, che si può considerare la summa di quarant’anni di lavoro su questo tema. Ma questo modo di lavorare vale già per i precedenti libri e articoli in merito. Se oggi ad esempio si rilegge il libro di Luhmann “Concetto di scopo e razionalità sistemica “ (1968, nuova edizione 1977) si può riconoscere non solo che con l’apparentemente innocuo “e” tra le parole “funzioni ” e “conseguenze” si entra in una teoria dell’organizzazione del tutto differente, ma che lo si può fare anche soltanto prendendo sul serio la teoria dell’organizzazione tradizionale, come è stata elaborata soprattutto nella dottrina dell’amministrazione e dell’economia aziendale, ma anche nella sociologia di Max Weber, per costringersi a cercare altre possibilità. Col senno di poi sorprende che in questo libro Luhmann lavorasse con dei procedimenti molto simili a quelli che negli stessi anni venivano elaborati in Francia da Gilles Deleuze, Michel Foucault e Jacques Derrida e che in seguito prenderanno il nome di post-strutturalismo o di decostruzionismo. Penso qui soprattutto alla “Logica del senso” di Deleuze (1969) e alla “Grammatologia” di Derrida (1967), ma anche alla “Storia della follia” (1961), alla “Nascita della clinica” (1963) e a “Sorvegliare e punire” (1975) di Foucault. Lo si deve sottolineare soprattutto perché presumibilmente anche Luhmann ha scoperto solo negli anni ’80 questi riferimenti ai testi francesi e solo negli anni ’90 ha iniziato a considerarli una conferma di un punto specifico: la trasformazione epistemologica dell’autodescrizione della società sulla base della propria decostruzione.(…)