Apprendiamo di più ammirando la capacità di apprendere di certi tipi di animali oppure ammirando la loro asoluta incommensurabilità con i nostri criteri di giudizio, la loro limitatezza (dal nostro punto di vista), il fatto che essi siano un mondo che non sa apprendere o sa apprendere solo limitatamente? Ci interessa riconoscere dappertutto la tecnica oppure riuscire ad immaginare un mondo nel quale sia naturale la sua assenza o la sua assoluta circolarità senza progresso? (…) L’unico modo per uscire dalla superstizione tecnologica che ci fa credere che il mondo sia stato fatto per essee dominato da noi sta nel cercare all’interno del nostro ambiente una grammatica capace di limitarlo: di restituirgli una volontà di impotenza. Tale grammatica non è sconosciuta, non è totalmente da inventare: il tentativo di immaginare come possa apparire il mondo ad un essere molto differente da noi presuppone una nostra capacità di riconoscerci in lui, di sentirci a lui uguale. Si tratta di una grammatica di diritti, dell’attribuzione di nuove sacertà, di sfere di fronte alle quali riteniamo sia necessario cedere, fare un passo indietro; è una grammatica che pone vincoli. Non siamo usciti dall’antropomorfismo, ma abbiamo tentato di perlustrarne quelle zone capaci di indurre momenti di autolimitazione, di farlo lavorare nel suo stesso linguaggio contro di sè:anche la grammatica dei diritti è una grammatica tipicamente umana, ma una grammatica che limita il potere di chi riconosce il diritto altrui.
(da Franco Cassano, Approssimazione, Bologna, il Mulino, 1989, pp. 46-48)
Riferimenti Bibliografici
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