La portata delle trasformazioni in corso sui luoghi di lavoro e sui mercati del lavoro si mostra ogni giorno più imponente. Le novità sono troppe e destano quindi apprensioni. Il cuore del cambiamento non è il passaggio dall’industria ai servizi o dalla società industriale alla società post-industriale: infatti tutte le novità – just-in-time, telelavoro, outsourcing, call center – vengono dal modello di produzione e di consumo sul quale si impernia oggi l’industria. Infatti il cuore del cambiamento è il passaggio dal fordismo al post-fordismo. E’ questa la transizione che, avviata con gli anni Ottanta, ci sta portando da un mondo di lavoro al plurale a un universo di lavori al singolare. E’ un passaggio reso necessario dalle trasformazioni nel mercato e reso possibile dalle trasformazioni nelle tecnologie. Così la produzione e il consumo, che nell’Ottocento si svolgevano per piccoli lotti e che nel Novecento erano passati alle grandi serie, adesso consistono di grandi serie in piccoli lotti. La transizione in corso non comporta comunque né la “fine” dei posti, né la “sparizione” del lavoro, ma destabilizza le certezze, perché in Europa può mettere a repentaglio i compromessi sociali raggiunti e addirittura scardinare le immagini convenzionali di sicurezza e di uguaglianza.
Tutto il mondo del lavoro è in evoluzione, ma le novità in atto non sempre mandano segnali chiari e univoci. Bisogna quindi guardarle con distacco e seguirle senza preconcetti. Il segno più vistoso viene dai luoghi stessi del lavoro, la cui dimensione e dislocazione si trasforma introducendo sorprendenti elementi di diversificazione, dopo un secolo di fortissima uniformazione. Da un lato si verifica una diffusione e dispersione spaziale e temporale del lavoro, per cui cresce il numero dei luoghi, cala la dimensione delle sedi e ovunque ci sono spezzoni di lavoro e persone che lavorano. Dall’altro lato si verifica un’accentuazione e un’accelerazione della nati-mortalità d’impresa, per cui nascono molte più imprese che però durano di meno perché si chiudono, si cedono, si camuffano, si accoppiano e si fondono più spesso di prima.
Anche la struttura dei mercati del lavoro si trasforma e si complica, introducendo elementi di diversificazione che vanno al di là dei fenomeni di segmentazione già conosciuti, e che sembrano prospettare fenomeni di “atomizzazione” e fenomeni di esclusione. Assistiamo a una crescente selettività della domanda, sia in termini di flussi, sia in termini di requisiti. Allo stesso tempo però assistiamo a una maggiore selettività dell’offerta, sia per motivi oggettivi, dovuti all’innalzamento dell’istruzione e alla lievitazione dei redditi, sia per motivi soggettivi dovuti alla maggiore riluttanza a spostarsi e alla maggiore attenzione allo status. Si verifica così un difficile matching fra domanda e offerta: per la diversa influenza del contesto, giacché la domanda tende a “territorializzare” gli skill professionali e le competenze richieste mentre l’offerta tende a “socializzare” gli stili di vita e i modelli di aspettativa; per il diverso orientamento alle opportunità, giacché per l’impresa contano la flessibilità e il turnover mentre per il lavoratore contano la stabilità e le garanzie; e per i diversi ostacoli alle scelte giacché l’impresa trova difficile fare previsioni mentre il lavoratore trova difficile orientarsi.
Dietro ai segnali che vengono dai luoghi di lavoro e dai mercati del lavoro stanno le novità più cospicue, le cui direttrici sono date da movimenti davvero profondi. Li possiamo compendiare dicendo che sta mutando la natura della prestazione, la qualità del lavoro, e stanno mutando i termini della prestazione, i rapporti di lavoro.
Cambiamenti ormai abbastanza evidenti sono quelli che si possono riscontrare nella qualità del lavoro: a) i contenuti si fanno meno manipolativi e più cognitivi; b) i compiti tendono a essere meno esecutivi e più cooperativi; c) le competenze richieste (ma anche le attitudini) sono in genere meno specializzate e più polivalenti.
Altrettanto profondi, e più ambivalenti, sono i movimenti già avvertibili nei rapporti di lavoro. Questi tendono a essere: a) meno subordinati e più autonomi, come si rileva perfino nel lavoro dipendente, dove quanto meno cresce l’autonomia di esecuzione; b) meno durevoli, attraverso la crescita dei contratti a tempo determinato, cioè a termine, e il calo di quelli a tempo indeterminato; c) meno uniformi, giacché l’ambito dei contratti di lavoro si avvia a essere più circoscritto e più diversificato, perfino individualizzato.
Riferimenti Bibliografici
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