Uno dei problemi che più classicamente si pongono agli studi antropologici è costituito dalla cosiddetta comparazione fra culture diverse, ovvero, come sarebbe forse più opportuno dire, dalla possibilità di stabilire una qualche ‘continuità interpretativa’ fra culture a proposito di un determinato fenomeno. Molte volte si è ripetuto quanto fuorviante possa essere questa pratica, quanto sia invece preferibile analizzare i fenomeni di ciascuna cultura per sé e all’interno dei propri confini. Si tratta ovviamente di osservazioni molto sensate. Ma è anche vero che solo enfatizzando certe continuità interpretative fra culture differenti si possono far emergere differenze o analogie, e soprattutto significati, che altrimenti non sarebbero mai apparsi all’osservazione. Come comportarsi? Forse non ci si è preoccupati abbastanza di dire che, comunque la si pensi a proposito della continuità interpretativa, le cosiddette comparazioni non sono tutte uguali, e che esse possono essere iscritte in una doppia scala di variazioni. Da un lato infatti esistono ‘culture’ che sono più comparabili fra loro (è il caso di quella greca e romana) e altre che lo sono molto meno, o che lo sono solo in modo assai metaforico; dall’altro esistono ‘fenomeni’ più o meno comparabili fra loro – da alcuni che non lo sono affatto ad altri invece che lo sono molto. Le comparazioni non sono tutte uguali. Prendiamo il caso della nascita. Si tratta di un momento dell’esperienza umana che è dotato di una specifica «continuità biologica», indipendente come tale da confini geografici o etnici: per questo motivo le rappresentazioni legate alla nascita si presteranno molto meglio ad essere comparate fra loro di quanto non lo siano altre costruzioni esclusivamente culturali. (…)
Anche la pratica della continuità interpretativa, dunque, si pone in primo luogo come una questione di ‘temperamento’. Un sì o un no assoluti non servono a molto, mentre vale la pena distinguere di volta in volta a quali fenomeni ci si stia rivolgendo, e da quali culture sono tratti. In altre parole, un conto è analizzare comparativamente le credenze relative a un fenomeno come la nascita all’interno di culture affini, come quella greca e romana, o quella europea medioevale, un altro è confrontare fra loro dieci versioni della Teogonia di Esiodo e un frammento di mitologia sud americana. La comparazione, quando la si fa, deve essere come minimo una «comparazione ben temperata».
(da M. Bettini, Nascere. Storie di donne, donnole, madri ed eroi, Torino, 1998, pp. 73-74).*
Riferimenti Bibliografici
– E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, I, Torino, 1976;*
– M. Bettini, Le orecchie di Hermes. Studi di antropologia e letterature classiche,Torino, 2000;*
– M. Detienne, L’invenzione della mitologia, Torino, 1983;*
– P. Schmitt Pantel (a cura di), Storia delle donne. L’antichità, Roma-Bari, 1993.*
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