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Nel Giappone contemporaneo è in atto negli ultimi decenni un prolungato boom dei mostri. Esso attraversa ambiti eterogenei, dai più informali e popolari, a quelli più accademici e istituzionalizzati, fino a travalicare i confini nazionali e alimentare un immaginario mostruoso globalizzato made in Japan.
Da una parte si assiste ad una proliferazione di nuovi mostri, prodotti da un’industria culturale sempre più transmediale, sorretta dall’intersezione fluida e cumulativa di manga, anime, videogiochi, cinema, letteratura, arti visive, merchandising ecc. Oltre ai remake di mostri moderni ormai “classici”, come il dinosauro radioattivo Godzilla e la sua progenie di kaijū (bestie gigantesche), sono pressoché innumerevoli le versioni postmoderne e inedite: i robot esoterico-apocalittici di Neon Genesis Evangelion, l’esercito tascabile dei Pokemon, i fantasmi inquietanti dello J-Horror, le creature fantastiche del regista Miyazaki Hayao, i giganti antropofagi di Isayama Hajime, i mostri superflat dell’artista Murakami Takashi. Si tratta solo di alcune declinazioni del mostruoso – cyberpunk, ludico-carino, spettrale, nostalgico, fantasy, pop-artistico – che contribuiscono a fornire le icone trendy per il nuovo volto del Giappone di inizio XXI secolo. Queste icone, proprio per il loro successo globalizzato, sono mobilitate anche dal programma governativo del Cool Japan (2002-): una strategia di nation branding, una promozione statale dell’industria culturale e dei suoi prodotti popolari, per immettere nuova linfa vitale in un’economia stagnante e per migliorare l’immagine della nazione in termini di soft power sullo scenario internazionale.
D’altra parte, in un’ottica più interna, il repertorio forse ancora più ricco di mostri autoctoni premoderni o tradizionali è sottoposto ad un revival senza precedenti. Feste religioso-comunitarie dedicate al tengu (mostro demone della montagna) o al kappa (mostro-folletto dell’acqua) per rianimare località rurali o montane in declino; mostre in musei nazionali di scienze, arte o storia; e in generale, un mercato editoriale imponente di fiction e non, che raccontano o spiegano fenomeni occulti, esoterici o leggendari, testimoniano di una tensione nostalgica per il re-incantamento della contemporaneità e soprattutto di un’attrazione collettiva per un “mondo altro” o “misterioso”, popolato, come vuole la tradizione, da «otto milioni di entità soprannaturali».
Non è difficile notare che la passione crescente più o meno (ri)creativa per mostri e creature fantastiche è in fondo un fenomeno globale che accomuna tutti i Paesi più industrializzati o tardo-capitalistici, come ben testimonia l’affermazione del genere fantasy o horror: dalla saga di Harry Potter e de Il Signore degli Anelli, ai remake hollywoodiani delle favole europee, ai quali si aggiunge il successo di zombi, vampiri, lupi mannari, demoni, dinosauri e simili. Tuttavia, è soprattutto l’attenzione che lo Stato giapponese dedica non solo alla promozione dei nuovi prodotti mostruosi della propria industria culturale, ma in particolare dei mostri tradizionali a conferire nell’insieme una legittimazione nazional-popolare e istituzionale che ha forse pochi analoghi in tutto il mondo. Monografie accademiche, progetti di documentazione, di catalogazione e di ricerca, finanziati dallo Stato e coordinati da studiosi di antropologia e di storia culturale hanno contribuito a far riemergere di recente la disciplina dello yōkaigaku, lo studio dei mostri autoctoni.
Di fronte a questa attualità dei mostri in Giappone può nascere l’interrogativo di fondo del perché di tutto questo. Quali sono i motivi di tale ricchezza nel passato e nel presente? Perché tanta attenzione, anche istituzionale, rivolta ai mostri, che dal punto di vista accademico non sono di sicuro fra gli oggetti di studio convenzionalmente più rispettati? Che cosa rivelano i mostri del Giappone, della sua cultura e della sua identità nazionale in epoca moderna e contemporanea? E soprattutto, perché piacciono così tanto anche all’estero? Quali sono quindi i nessi reciproci fra autorappresentazioni in Giappone ed eterorappresentazioni del Giappone mediati dai mostri e dalla mostruosità in generale? E infine, in ottica più critica e autoriflessiva, che cosa possono dire i mostri di noi stessi?
(da T. Miyake, Mostri del Giappone. Narrative, figure, egemonie della dis-locazione identitaria, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari – Digital Publishing, 2014, pp. 11-13)