Marescotti legge da Moby Dick

  • lunedì 03 Aprile 2006 - 21.00
VivaVoce

‘Anche prescindendo da soprannaturali congetture ce n’era abbastanza nella forma terrena e nell’incontestabile carattere del mostro, per colpire l’immaginazione con insolita potenza. Perché non era tanto la sua massa fuori del comune che così particolarmente la distingueva dagli altri capodogli, quanto piuttosto una caratteristica fronte rugosa, candida come la neve e una gobba alta, come una bianca piramide. Queste erano le sue caratteristiche più evidenti; i segni per cui, anche nei mari sconfinati e non segnati sulle carte, essa rivelava a grande distanza la sua identità a coloro che la conoscevano.
Il resto del suo corpo era così striato, macchiato e chiazzato dello stesso colore di sudario che, alla fine, si era guadagnata il soprannome di Balena Bianca, un nome, in verità, giustificato alla lettera dal suo vivido aspetto quando la si vedeva scivolare in pieno mezzogiorno per un mare azzurro cupo, lasciandosi dietro una scia lattiginosa di schiuma cremosa, tutta piena di pagliuzze d’oro.

E non era tanto l’insolita grandezza, né il colore particolare e nemmeno la deforme mascella a dare alla balena quel suo naturale terrore, quando l’inaudita, intelligente malizia che essa, a stare ai racconti minuziosi, aveva ripetute volte dimostrato nei suoi assalti. Soprattutto, le sue fughe traditrici sgomentavano forse più di qualunque altra cosa. Poiché più volte, mentre fuggiva davanti ai suoi esultanti inseguitori, con tutta l’apparenza di avere paura, era stata vista fare un improvviso voltafaccia, piombare su di loro, e mandare in frantumi le lance o ricacciarli sulla nave terrorizzati.’

(Herman Melville, Moby Dick o la balena, traduzione di Cesarina Minoli, Oscar Mondadori, 2001, pagg. 230-231)

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