‘Anche prescindendo da soprannaturali congetture ce n’era abbastanza nella forma terrena e nell’incontestabile carattere del mostro, per colpire l’immaginazione con insolita potenza. Perché non era tanto la sua massa fuori del comune che così particolarmente la distingueva dagli altri capodogli, quanto piuttosto una caratteristica fronte rugosa, candida come la neve e una gobba alta, come una bianca piramide. Queste erano le sue caratteristiche più evidenti; i segni per cui, anche nei mari sconfinati e non segnati sulle carte, essa rivelava a grande distanza la sua identità a coloro che la conoscevano.
Il resto del suo corpo era così striato, macchiato e chiazzato dello stesso colore di sudario che, alla fine, si era guadagnata il soprannome di Balena Bianca, un nome, in verità, giustificato alla lettera dal suo vivido aspetto quando la si vedeva scivolare in pieno mezzogiorno per un mare azzurro cupo, lasciandosi dietro una scia lattiginosa di schiuma cremosa, tutta piena di pagliuzze d’oro.
(Herman Melville, Moby Dick o la balena, traduzione di Cesarina Minoli, Oscar Mondadori, 2001, pagg. 230-231)