Pensare la tecnica nel mondo attuale significa confrontarsi con il fatto che, se da un lato essa costituisce un elemento specifico della natura umana, come dimensione compensatoria alle sue carenze istintuali, dall'altro però ha dato origine ad uno sviluppo straordinario, che obbliga a revisionare le nostre categorie umanistiche. A questo proposito, Umberto Galimberti ha invitato a considerare come siano proprio la scienza e la tecnica a costituire l'essenza dell'umanesimo, soprattutto a partire dal Seicento quando con la rivoluzione scientifica l'uomo diventa dominatore e possessore del mondo, dando avvio a un progresso inarrestabile. Umberto Galimberti, in particolare, legge la situazione attuale a partire dall'interpretazione del concetto di "strumento" svolta da Hegel, il quale ha affermato che quando avviene un aumento in quantità degli strumenti, si assiste anche a una variazione qualitativa, secondo la quale la vera ricchezza viene a essere identificata nella disponibilità dello strumentario tecnico e non nei beni da esso prodotti. E così, oggi, se la tecnica è diventata la condizione universale per realizzare qualsiasi scopo, essa non è più un mezzo nelle mani dell'uomo ma il primo scopo, addirittura il primo soggetto, perché senza di essa gli scopi sono irrealizzabili.
In questo senso Umberto Galimberti sostiene stia avvenendo una trasformazione radicale degli scenari in cui viviamo. L'ambito politico, innanzitutto, non è più pensato come il luogo della decisione, dal momento che questa si è piuttosto spostata all'apparato tecnico che conferisce potere a qualsiasi operatore che agisca in esso, il potere di sottrarsi al loro intervento, pena il blocco dell'intero sistema produttivo. La tecnica modifica, poi, anche la morale, perché essa non guarda alle intenzioni, ma agli effetti, anche se poi questi sono imprevedibili; non ha scopi, ma competenze e tende unicamente all'autopotenziamento. In questo quadro, l'uomo non è il fine della tecnica, anzi è l'elemento più irrazionale dell'apparato, perchè non è perfetto come una macchina e anzi, come dice Günther Anders, si vergogna della propria insufficienza, dei propri tratti antropologici, che sono disfunzionali alla razionalità della tecnica.
Inquietante, però, ha concluso Umberto Galimberti, non è solo, come ha sostenuto Heidegger, che il mondo diventi un unico enorme apparato tecnico: ancora di più è il fatto che non siamo affatto preparati a questa radicale trasformazione del mondo e che non ci siano alternative al pensiero tecnico.