(…) Ciò che si spera o si dispera di conseguire, ciò che si ardisce di desiderare o si teme di perdere, è sempre oltre il piacere e il dolore presenti: si staglia per così dire alto nel futuro, separato da noi dal tempo dello sforzo, della fatica, della lotta. Ha la qualità del bene arduo, cioè insieme difficile ed elevato, dice Tommaso, sulla facile potestà animale. Difficile come la felicità, nel senso classico della riuscita di sé, dell’eu-daimonia, del bene che soddisfa il proprio demone – per ciascuno diverso. Ed elevato come ciò che fonda una norma, un diritto, una ragione – anche una ragione di esistere. Una “ragione” che è la posta ultima di speranza e paura, ardimento e abbattimento – e che è sempre a rischio di subire ingiuria. E che l’ira, pronta a divampare, violentemente afferma. Afferma un diritto, non un fatto, una ragione, non una forza. O almeno, lo pretende. E’ una pretesa iscritta nella sua essenza.
L’ira, questo moto dell’animo che “insorge contro le contrarietà”, ha indubbiamente una radice istintiva, e questa l’uomo la condivide con tutti gli animali, alcuni dei quali ne diventano addirittura l’emblema: “cani” è il vituperio più ribadito dai pellegrini dell’inferno dantesco. In questo senso l’irascibile è quella che potremmo chiamare la sede delle pulsioni aggressive. “Armigera del desiderio”, così Gregorio di Nissa definisce poeticamente l’ira. E’ la “passione” che presiede alla lotta. Ma nell’uomo ogni conflitto, ogni discordia passa per l’affermazione di una ragione e di un diritto, e diventa antilogia: disputa e guerra, conflitto di valori. All’esterno come all’interno: le Furie sono pure l’emblema della ragione iusti vindicativi, e sotto quest’egida infuriano nel delirio di auto-punizione. Sotto l’egida della ragione offesa portano la follia, come Atena, che ha gli occhi chiari della ragione e l’ulivo della sua quiete, portava sullo scudo l’egida del volto di Medusa.
L’ira conferisce all’irascibile, al “cuore”, l’aspetto che ne fa in ultima analisi il sentimento della ragione, e indissociabilmente il sentimento di sé, della propria identità personale e morale. In questo senso è una passio generalis più che una passio specialis, perché in lei hanno il loro possibile esito naturale tutte le “passioni” specificamente umane, che vogliono giustificazione quando non giustizia – che tenacemente l’affermano.
Ma tutte le passioni, e specialmente quelle del cuore o dell’irascibile, hanno una sola radice: l’amore. Questa tesi agostiniana è naturalmente una pietra angolare del trattato tomasiano delle passioni. L’amor sui, naturale in ogni creatura, è anche elettivo nell’uomo, che in una certa misura sceglie se stesso. Si sceglie amando certe cose e non certe altre, nutrendo le sue proprie speranze e paure, osando e non osando a suo modo. (…)
Riferimenti Bibliografici
- Alighieri Dante, La divina commedia (Inferno, Paradiso, Purgatorio), Milano, SEI, 1945;*
- Bodei Remo, Ordo amoris, Bologna, Il Mulino, 1991;*
- Bodei Remo, Geometria delle passioni, Milano, Feltrinelli, 1991;*
- Beonio Brocchieri M. Teresa, Parodi Massimo, Storia della filosofia medievale, Bari, Laterza, 1986;
- Aristotele, Etica e nicomachea, Milano, Rizzoli, 1986;*
- Nagel Thomas, Uno sguardo da nessun luogo, Milano, Il Saggiatore, 1988;*
- Stein Edith, L’empatia, Milano, Angeli, 1986;*
- Stein Edith, Psicologia e scienze dello spirito, Roma, Cittanova, 1996;*
- Scheler Max, Idealismo-Realismo, Napoli, Il Tripode, 1995;
- Scheler Max, Essenza e forme della simpatia, Varese, Città Nuova, 1980;
- Scheler Max, Amore e odio, Milano, Sugarco, 1993;
- Tertualiano, L’amore, Padova, Marsilio, 1988;
- Tommaso, Summa Theologica, Roma, Forzani, 1894 (6 voll.);*
- Vegetti Mario, Passioni antiche: l’io collerico, in S. Vegetti Finzi (a cura di), Storia delle passioni, Bari, Laterza, 1995;*
- Weil Simone, L’ombra e la grazia, Milano, Rusconi, 1991;*
- Wittegenstein Ludwig, Osservazioni sulla filosofia della psicologia, Milano, Adelphi, 1990.*
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