Dall’esame condotto da Elena Pulcini, emerge come la globalizzazione – processo totale che pervade il nostro mondo, ben al di là della sola dimensione economica – non sia solamente l’ultimo frutto della modernità, ma ne sia anche una trasformazione radicale. Nella situazione attuale vengono infatti messe in crisi tutte le parole d’ordine identificative della modernità: la razionalità dell’agire ha abdicato in favore degli automatismi del mercato, la progettualità ha lasciato il campo all’affermazione di un mero “qui ed ora” che ha comportato una grave perdita di futuro, i rischi globali hanno eliso ogni fiducia nel progresso, la passività dello spettatore è divenuta paradigmatica della perdita di libertà, l’uguaglianza si è trasformata in omologazione e conformismo. Siamo dunque in presenza di una crisi dei fondamenti e dei presupposti della modernità su cui era stata costruita l’idea e la promessa di felicità individuale e collettiva. Quanto detto trova esplicitazione nelle patologie di illimitatezza e insicurezza che caratterizzano la soggettività contemporanea, l’io globale. La soggettività contemporanea non è più in grado di trovare i propri termini di definizione e controllo dando così origine a una vera e propria pulsione all’illimitatezza. Allo stesso tempo, ciascuna espressione di illimitatezza è causa della profonda insicurezza che è all’origine dell’angoscia contemporanea. Le risposte a tale angoscia sono di due tipi: la paralisi e le pratiche persecutorie, volte a spostare la propria angoscia sull’Altro. Tuttavia, sostiene ancora Elena Pulcini, queste patologie potrebbero avere potenzialità emancipative se, di fronte ai rischi globali, si coglierà l’occasione di dare vita a un nuovo soggetto planetario fondato sulla coscienza della vulnerabilità di ciascuno e del mondo intero. Ciò sarà possibile solo nel momento in cui l’angoscia si trasformerà nuovamente in paura, dando l’occasione a ciascuno di essere responsabile verso di sé e verso l’Altro del futuro comune.