Linguaggi costituenti

Quattro video di Mounir Fatmi

  • da venerdì 11 Febbraio 2011 a venerdì 08 Aprile 2011 - 15.00
Centro Culturale

The Others are the Others (1999, 11’10”)
Commerciale (2004, 6’38”)
The Beautiful Language (2010, 16’30”)
The Lost Ones (2004, 9’20”)

La scelta del concetto di «costituzione», individuato dalla Fondazione San Carlo come tema del suo progetto annuale, sollecita una riflessione sulle conseguenze delle trasformazioni strutturali che negli ultimi decenni hanno mutato i principi del vivere comune a livello comunitario, nazionale e globale. La selezione dei quattro video, realizzati tra il 1999 e il 2010 dall’artista Mounir Fatmi (Tangeri, 1970, oggi residente a Parigi), tocca punti salienti di una tale analisi, a cominciare dalla ridefinizione del tessuto sociale – il corpo stesso della società civile – che trova espressione nel video The others are the others. La domanda «chi sono gli altri?», rivolta a varie persone per le strade di Parigi, spinge a interrogarsi sul concetto di alterità ma induce, al contempo, a ridefinire un «noi», una collettività che la partecipazione degli intervistati, di ogni età, sesso, confessione o etnia, rivela essere sempre più ricca di differenze. Il consumismo, assurto a nuova religione dell’uomo contemporaneo, è il tema affrontato da Commerciale, in cui Fatmi riprende i passaggi all’ingresso di un centro commerciale, moderno santuario dedicato al «dio consumo». A suggerire il parallelismo tra i due ambiti, l’artista pone al centro della porta girevole un cubo nero che richiama la Kaaba, meta dell’incessante pellegrinaggio alla Mecca. The beautiful language è l’esito di un montaggio di sequenze tratte dal film Il ragazzo selvaggio di François Truffaut. Il ritmo ossessivo del video – che mostra i progressi e i fallimenti di un medico nel rieducare un ragazzo cresciuto nella foresta – mette in discussione il concetto di civilizzazione, evidenziando i rischi di derive coercitive. A quali norme occorre conformarsi? Da chi e come vengono stabilite? Come garantire la partecipazione di tutti gli individui alla definizione di regole comuni? La possibilità di determinare il proprio futuro – individuale e collettivo – dovrebbe essere un diritto riconosciuto a tutti, compresi coloro che le società contemporanee tendono a escludere, quegli «ultimi» che nel video The Lost Ones rivendicano la libertà di agire, esprimersi, vivere. E per questo Fatmi – sempre attento alle conseguenze del capitalismo globale, delle migrazioni e dei fondamentalismi, della precarizzazione e delle varie forme di negazione della libertà – sembra porre una domanda su tutte: come scongiurare uno stato di servaggio a poteri assoluti?

Francesca Lazzarini

Interviste di strada su chi sono gli «altri»; una camera fissa sull’ingresso di un centro commerciale; la rappresentazione del processo di civilizzazione; figure umane statuarie sullo sfondo di uno spazio religioso: è questo il breve, nudo sommario dei video di Mounir Fatmi che ci conducono nella «terra di nessuno» dell’umano, tra Oriente e Occidente, tradizione e modernità, immanenza e trascendenza, individualizzazione e socializzazione. Che cos’è l’umano, ci chiedono queste immagini, e come emerge da quello spazio pubblico oggi colonizzato dal confronto ininterrotto con l’alterità? Si trova forse nel «dispendio», banalizzato nel consumismo del capitalismo postmoderno? È il prodotto della natura o della cultura? O è il luogo in cui l’individuo e il corpo politico si incrociano nella dimensione del «religioso»? Una cosa è certa: il rapporto tra l’«io» e il «noi» non può essere confinato esclusivamente sul terreno della pura immanenza, deriva di ogni atteggiamento rigidamente identitario e particolaristico. Se questa è la sua origine storica, non è infatti ciò che ne caratterizza la destinazione ultima: pur nascendo nel «qui e ora», l’umano rimanda sempre a un «altrove», a una trascendenza non necessariamente religiosa. Essendo corpo e anima, forma e contenuto, l’umano vive all’intersezione tra la ragione e la forza, tra la storia e il diritto, tra la natura e la libertà, tra l’essere e il dovere, tra la cura e la violenza; è il luogo della contraddizione, di una finitudine che aspira all’infinito. Proprio attraverso il rapporto tra l’«io» e il «noi», nell’umano emerge un’istanza di libertà come compito e vocazione, una libertà che parla di una finalità mai compiuta eppure vicina all’«assoluto», dimensione dell’universalità di ciò che è comune. Una tale universalità è garantita non malgrado, ma proprio grazie alla diversità culturale, che mette in luce la dimensione irresolubilmente aperta alla trascendenza e, allo stesso tempo, intimamente temporale della condizione umana, sia individuale che collettiva. Questa contraddizione non promette nessun compimento, visto che un tale «assoluto» non può servire da fondamento a un’eventuale unanimità universale – e potrebbe addirittura ostacolarla – a meno che non lo si cerchi molto in profondità, laddove esso diventa l’esperienza di una trascendenza non posseduta.

Carlo Altini

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