La complessa vicenda che porta alla redazione della dichiarazione sulla libertà religiosa al Vaticano II mette in luce le difficoltà, non del tutto superate, per una chiesa abituata da secoli ad approssimare il proprio patrimonio teologico e giuridico fino a ritenere essenziale la subordinazione della libertà e della coscienza ad una idea di verità. Proprio per la sua capacità di mettere in opera la forza evenemenziale del concilio, più che per la nitidezza formulare, Dignitatis humanae è paradigmatica di cos’è stata la ricezione del Vaticano II e in che misura le questioni che esso ha aperto siano ancora, ad una generazione di distanza, l’agenda della chiesa sia nei suoi rapporti con l’etica che con la ricerca scientifico, e dunque con la politica.
Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società.
A motivo della loro dignità, tutti gli esseri umani, in quanto persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stesssa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo, però, gli esseri umani non sono in grado di soddisfare, in modo rispondente alla loro natura, se non gondono della libertà psicologica e nello stesso tempo dell’immunità dalla coercizione esterna. Il diritto alla libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il dirito ad una tale immunità perdura anche in coloro che non soddisfano l’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato l’ordine pubblico informato a giustizia, non può esser impedito.”
Dalla Dichiarazione ‘Dignitatis Hamanae’ sulla libertà religiosa