Com’è noto, fu Elio Vittorini ad accostare, fin dal suo primo apparire, Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern alla più celebre opera di Senofonte. Nel risvolto di copertina della prima edizione Einaudi del 1953 di questi ricordi della ritirata di Russia, scritti in un lager tedesco dall’alpino Rigorni Stern nell’inverno del 1944, Vittorini definiva il libro “una piccola Anabasi dialettale”. Fortissima è, infatti, l’analogia tra le vicende narrate in queste due opere composte a distanza di quasi venticinque secoli. In Senofonte, diecimila mercenari greci, nel settembre del 401 a. C., dopo essere stati ingaggiati dal principe persiano Ciro per una spedizione all’interno dell’Asia, a seguito della sconfitta di Cunassa si trovano costretti, privi dei loro comandanti, ad aprirsi combattendo la via del ritorno attraverso un paese straniero; in Rigoni Stern, più di centomila alpini, dopo il collasso dell’Esercito Italiano, abbandonati dai comandi sulla riva del Don, devono marciare per decine di migliaia di chilometri nella steppa gelata, costantemente sottoposti agli attacchi del nemico, nella tenue speranza di riguadagnare individualmente il suolo di quella terra natia che, sotto la bandiera della Patria, li ha condotti collettivamente al massacro della guerra totale. L’analogia nel narrato è talmente forte che, come notava Italo Calvino, “i capitoli della ritirata nella neve nell’Anabasi sono ricchi di episodi che potrebbero essere scambiati di peso con quelli del Sergente”. Al di là della forte consentaneità narrativa, leggere uno dopo l’altro Senofonte e Rigoni Stern vuole suggerire anche la speranza che gli alpini non abbiano ripercorso le medesime orme dei mercenari greci 25 secoli dopo la loro sofferenza, consegnandosi alla guerra come orizzonte intrascendibile e immutabile della condizione umana, ma ci abbiano invece condotti sul cammino di Ulisse il quale, al termine di una peregrinazione durata millenni, è, infine, un Uomo diverso da quello che per dieci lunghi anni aveva combattuto sotto le mura di Troia.
Antonio Scurati