“Il vero eroe, il vero soggetto, il centro dell’Iliade, è la forza. La forza che è usata dagli uomini, la forza che sottomette gli uomini, la forza davanti alla quale la carne degli uomini si ritrae. […] Il forte non è mai assolutamente forte, né il debole assolutamente debole, ma sia l’uno che l’altro lo ignorano. Non si credono della medesima specie: il debole non si guarda come simile del forte, né è guardato come tale. Chi possiede la forza avanza in un ambiente che non gli resiste, senza che nulla, nella materia umana intorno a lui sia capace di suscitare tra lo slancio e l’atto quel breve intervallo dove ha luogo il pensiero. E dove il pensiero non ha luogo, non ne hanno neppure la prudenza e la giustizia. E’ perciò che questi uomini armati agiscono duramente e follemente. La loro arma affonda in un nemico disarmato, in ginocchio davanti a loro; trionfano di un morente descrivendogli gli oltraggi che il suo corpo subirà; Achille sgozza dodici adolescenti troiani sulla pira di Patroclo con la stessa naturalezza con cui noi tagliamo dei fiori per una tomba. Usando del loro potere, essi non dubitano mai che le conseguenze dei loro atti li faranno a loro volta piegare. […] Questo castigo dal rigore geometrico, che punisce automaticamente l’abuso della forza, fu l’oggetto primo della meditazione dei greci. Costituisce l’anima dell’epopea. […] Un uso moderato della forza, che solo permetterebbe di sfuggire all’ingranaggio, richiederebbe una virtù più che umana. Rara quanto conservare la dignità nella debolezza”.
(Simone Weil, La fonte greca)
Marco Baliani