Per il gentiluomo Don Chisciotte della Mancia, orfano delle gloriose imprese guerriere dei suoi avi, la lettura dei romanzi di cavalleria è ciò che per la signora borghese Emma Bovary, afflitta dalla noia di provincia, sarà la lettura dei romanzi d’amore: entrambi travisano il mondo filtrandolo attraverso l’immaginario letterario, entrambi condurranno esistenze scellerate perché sotto il dominio di una rappresentazione che tanto più è potente quanto più tramite essa la realtà si assenta invece di farsi presente.
Combattendo contro i fantasmi, Don Chisciotte diventa dunque l’emblema del potere sinistro dei simboli. La sua tragicomica vicenda romanzesca allude a tragedie storiche del tutto prive della speranza comica, del tutto negate a una conclusione aperta sull’attesa di un esito felice. Allude al pervasivo influsso esercitato dai miti della guerra sulla nostra storia passata e recente. Per quante sanguinose smentite empiriche abbia conosciuto nel corso dei secoli, il mito della guerra-duello continua, infatti, a motivare e a giustificare il ricorso alle armi. Alle soglie dell’età moderna, l’epoca in cui, come notava Stendhal, “i desideri sono tutti di testa”, Cervantes ci ammonisce a non considerare i regimi di rappresentazione del mondo come derivati, secondari, residuali, ineffettuali; essi entrano invece nel processo di costituzione della realtà stessa. Cervantes, lui che aveva combattuto nella gloriosa giornata di Lepanto, rimanendone per sempre offeso, sembra diffidarci dall’immaginare le glorie della guerra, sembra dirci che se immagineremo la guerra, avremo la guerra, sebbene non quella che ci siamo immaginati. Ma poiché questo padre della civiltà romanzesca sa che l’unico possibile antidoto al “pericoloso prevalere dell’immaginazione” è l’immaginazione stessa, assegna alla letteratura il compito di demistificare quel mito della guerra che proprie essa contribuisce a creare.
Il pentimento finale di Don Chisciotte, che sul letto di morte rinsavirà deprecando la propria esistenza sciagurata, va preso terribilmente sul serio.
Antonio Scurati