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Nell’Apocalissi di Giovanni, come nelle successive apocalissi cristiane, il rapporto fra presente e futuro si pone in termini nuovi rispetto alle apocalissi giudaiche: il rapporto non è più, genericamente, fra un tempo presente, segnato dalle sofferenze dell’Israele eletto, e un tempo futuro in cui si manifesterà la salvezza di Dio, bensì fra un tempo presente in cui è già avvenuto l’evento salvifico per eccellenza, con la manifestazione di Gesù Messia – eppure il male continua ad agire contro gli eletti – e uno futuro, non altrimenti concepibile che come cessazione completa delle sofferenze ancora gravanti sugli eletti e come loro glorificazione. Perciò è necessario per i cristiani dare una spiegazione più articolata della persistente negatività del presente, offrendo una scansione temporale congrua degli eventi escatologici. (…)
Il quadro generale dipinto dall’autore spiega il male con lo scatenamento del potere demoniaco attraverso quello politico, rappresentato dalla mostruosa bestia che riunisce in sé i caratteri delle quattro bestie di Daniele, e con la quale l’unica interlocuzione possibile da parte dei fedeli è il rifiuto dell’idolatria e l’accettazione della morte. Tutto rientra nel disegno divino che alla fine vedrà il prevalere del bene. Tuttavia la sofferenza dei martiri (gli sgozzati di Ap 6) deve avere una particolare ricompensa e per questo motivo l’Apocalissi prevede un periodo di mille anni di incatenamento di Satana, perché possano regnare con Cristo. Dai mille anni, cifra che sta a indicare un periodo di tempo compiuto, prende nome il chiliasmo (millenarismo), dottrina escatologica che costituirà la forma prevalente della speranza cristiana nel II secolo e avrà lunga vita. (…)
L’Apocalissi giovannea – che deve sanare il problema aperto nella logica apocalittica da un Messia manifestatosi in un mondo dominato dal male e che continua ad esserne dominato – oltre a rassicurare che, nell’eterno punto di vista di Dio il male è già stato sconfitto, modifica, nella dimensione storica dell’uomo, in senso retributivo il regno intermedio di mille anni, destinandolo anche e soprattutto ai martiri fatti risorgere per l’occasione, in quanto essi avevano reclamato la loro soddisfazione per il dolore patito nel nome del Messia. Gli eventi successivi prevedono l’ultimo scatenamento di Satana, la sua sconfitta definitiva, la risurrezione e il giudizio, la discesa dal cielo di Gerusalemme. Il regno intermedio riceve dall’autore un’attenzione tutto sommato limitata, funzionale a risolvere uno specifico, se pur grave, problema, mentre tutta la sua attenzione è proiettata oltre, verso lo splendore della città gerosolimitana, la dimora di Dio con gli uomini, compimento glorioso del disegno divino (Ap 21).
(da E. Prinzivalli, M. Simonetti, La teologia degli antichi cristiani, Brescia, Morcelliana, 2012, pp. 229-231)*
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