Audio integrale
Video integrale
Il punto di partenza sta nell’impossibilità, già intuita da Weber, di procedere a una piena razionalizzazione dei diritti sacri. Proprio perché il loro fondamento è eteronomo e va ricondotto a un’autorità esterna e superiore all’uomo, i diritti delle religioni contengono norme che non possono essere compiutamente giustificate in termini razionali o etici (né spiegate in chiave tradizionale e consuetudinaria): esse richiedono di essere obbedite semplicemente perché dettate da Dio (per alcune religioni) o radicate nell’ordine cosmico (per altre). Il divieto ebraico di mangiare insieme carne e latte può avere avuto, alle sue origini, motivazioni di tipo pratico, ma oggi è rispettato soltanto perché gli ebrei osservanti lo ritengono voluto da Dio, non perché abbia un fondamento razionale o risponda a un imperativo etico. Analogamente, nella tradizione indù, la doverosità di alcuni atti è conoscibile solo attraverso la rivelazione e non può essere colta per via razionale.
Qui sta la differenza principale tra le concezioni giusnaturalistiche a base secolare e i diritti delle religioni. Il fondamento ultimo della norma non sta nella ragione né nella coscienza umana, bensì in una realtà esterna all’uomo: a volte – forse anche il più delle volte – non vi sarà contrasto tra quanto dettato dalla ragione e dalla coscienza da un lato e quanto comandato da questa realtà trascendente dall’altra. Ma quest’ultima non è mai integralmente riducibile alle prime due. Né è riconducibile – anche se qui il discorso si fa più complesso – alla consuetudine: il rifiuto delle autorità della chiesa cattolica di riconoscere il sacerdozio femminile (che non ha un fondamento nell’etica o nella ragione) non è fondato sulla consuetudine ma sulla tradizione, che è una fonte del diritto divino al pari delle Sacre Scritture. La giustificazione per respingere l’ordinazione sacerdotale delle donne non sta nel rilievo (peraltro contestato da alcuni) che cosi si è sempre fatto nella bimillenaria vicenda della chiesa: sta nell’affermazione, di ben altro spessore e significato, che questa bimillenaria tradizione è il modo con cui Dio ha parlato agli uomini e quindi integra un precetto che nessun uomo – neppure il pontefice – ha il potere di modificare.
Di fronte a questa dura realtà, le autorità preposte alla produzione e applicazione del diritto delle diverse religioni hanno elaborato strategie, differenti a seconda dei tempi e dei luoghi, che hanno di volta in volta attenuato, enfatizzato o comunque interpretato il significato e la portata di una specifica norma di origine divina, al fine di ridurre lo scarto tra essa e i convincimenti etici o razionali prevalenti nella comunità in un determinato momento storico. Ma nessuna di esse ha potuto semplicemente dichiarare l’irrazionalità, l’immoralità o l’inadeguatezza (in quanto non più rispondente alle esigenze della comunità) della legge di Dio. Quando le autorità religiose musulmane sostengono che un uomo non può abrogare le pene hadd (quelle che prevedono, fra l’altro, la fustigazione o la lapidazione dell’adultero e il taglio della mano o del piede del ladro) perché decretate da Dio ma può soltanto cercare di sospenderne l’applicazione, esse fanno uso di un ragionamento analogo a quello che le autorità religiose ebraiche hanno utilizzato con successo molti secoli or sono per rendere impossibile l’applicazione della pena di morte nei casi in cui essa era prevista dalla Bibbia: non potendo abrogare la norma, i giuristi ne hanno condizionato l’operatività a un numero tale di circostanze da rendere di fatto impossibile l’emanazione di una sentenza di condanna alla pena capitale. Può essere che l’esito finale di questo processo consista nella pratica sterilizzazione della norma, ma essa non può venire cancellata dal libro della legge e questo costituisce una differenza, sia perché quella norma resta – sia pur dormiente – in vita, sia perché il processo di neutralizzazione dei suoi effetti pratici ha molteplici ripercussioni sullo sviluppo dell’ordinamento giuridico.
(da S. Ferrari, a cura di, Introduzione al diritto comparato delle religioni, Bologna, il Mulino, 2008, pp. 43-45)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.