La pratica ascetica dell’automummificazione in vita è un’esperienza mistica dove l’azzardo della mente è stato più spericolato e le tecniche del corpo sembrano essere andate oltre i confini del credibile.
Attraverso l’analisi delle fonti testuali in Cina e dei dati raccolti nella ricerca sul campo in Giappone, ricostruendo come in un mosaico i percorsi spirituali di questi asceti, si colgono certi temi ricorrenti e appare chiaro che non si tratta di casi sporadici e occasionali, di poveri “folli di dio”, ma di un’esperienza iniziatica che segue uno schema rigoroso di ascesi, codificato e tramandato da maestro a discepolo, per realizzare un preciso modello di santità. E non è affatto un’esperienza conclusa: ancora oggi esistono dei casi di mistici che, in Estremo Oriente, ricercano la salvezza attraverso la perfezione del corpo incorrotto.
Il problema cruciale è di riuscire a comprendere il significato di una scelta che appare così terribile. Questi corpi rattrappiti, che i fedeli dipingono d’oro e venerano sull’altare di un tempio, sono il frutto di un suicidio rituale – come sostengono alcuni – o la traccia di un sogno caparbio di immortalità? Esaminando le concezioni della morte e del destino nella tradizione religiosa gipponese e ponendole a confronto con i significati delle pratiche di auto-immolazione rituale nel buddhismo, si può mettere in luce come questi mistici che nella solitudine delle montagne sacre, per anni rifiutano il mondo, rifiutano il cibo e alla fine lucidamente e serenamente (come tramandano le testimonianze raccolte) si sotterrano vivi, non sono dei suicidi; al contrario hanno accettato l’azzardo di credere che è possibile superare l’ineluttabilità del morire. Raccolti in sé stessi, in uno stato di meditazione profonda, il loro corpo perfetto, tra natura e artificio, è santo perché testimonia che l’opposizione fra la realtà della vita e della morte si è ricomposta in un’unità primigenia al di là di ogni differenziazione e dicotomia, come all’inizio del tempo. E quella che appariva a un primo impatto come una via di sofferenza, di macerazione e annullamento di sé, si rivela progressivamente come un’esperienza animata da una luminosa visione di salvezza e di pace.
Diverse tradizioni sacre hanno animato questo sogno. Gli asceti hanno colto alcune fondamentali analogie nei procedimenti meditativi di varie tendenze religiose e li hanno adottati amalgamandoli nel corso dei secoli. I percorsi simbolici in cui la mente dell’asceta in contemplazione si inoltra, come nei meandri di un labirinto, sono di un’affascinante complessità: le antiche visioni degli sciamani e i loro itinerari estatici nel mondo dei morti si intrecciano con le pratiche esoteriche di meditazione del buddhismo tantrico, le tecniche del corpo della “alchimia interiore” dei maestri taoisti e l’immaginario paradisiaco codificato dai culti amidisti.
Così innaturali eppure così concretamente veri, questi corpi immutabili sono simboli di contraddizione. Per i fedeli sono esseri purissimi e santi che hanno raggiunto la perfezione di ogni potenzialità, realizzando la speranza della salvezza, eppure per altri sono orrende forme di angoscia, impostori e suicidi. Dall’analisi delle dottrine che hanno ispirato il mistico, il fuoco si deve per forza spostare sull’analisi di che cosa abbia “toccato” l’immaginario religioso dei fedeli, quali fattori cioè abbiano fatto sì che in certi momenti storici la pratica dell’automummificazione in vita sia stata vista come l’unica vera condizione per la santità. Il problema è di carattere antropologico e può trovare una risposta nella teoria dei modelli classificatori (primo fra tutti la struttura simbolica del corpo umano) delle regole della purezza e della logica delle forme sacrali che legittimano (o mettono in crisi) l’azione di condizionamento sociale del consenso. Il valore simbolico del corpo puro e incorrotto e l’impatto culturale delle varie tecniche del corpo (controllo della fame e della sete, del sonno, dell’impulso sessuale) invitano anche a riflettere sul significato della violenza nel sacro e sull’utilizzo della sofferenza fisica in rapporto all’idea di salvezza e di libertà.
L’esperienza di automummificazione in vita sembra dunque realizzare come una frattura del discorso culturale tradizionale. Alla luce anche dei messaggi e delle pratiche dei movimenti millenaristici di rinnovamento religioso in Asia Orientale, la ricerca di un corpo fisico ‘diverso’ – il corpo ‘miracoloso’ dell’asceta – perfetto e immortale, testimonia forse della ricerca di un modello classificatorio radicalmente nuovo che, in epoche di crisi, legittimi con la forza del suo simbolismo l’utopia di un corpo sociale più giusto.
Riferimenti Bibliografici
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