Il papato aveva svolto nel XX secolo una funzione esplicita nel riproporre la questione della frontiera interiore dell’Europa costituita dal Muro di Berlino. La liquidazione dei regimi comunisti non è bastata tuttavia a realizzare il sogno di Papa Wojtyla di un’Europa che respiri “a due polmoni”. A misura delle ammissioni dei nuovi paesi la questione dei limiti, mai affrontata al momento della creazione della Comunità europea, è divenuta questione identitaria soprattutto nel dibattito sulla “radici cristiane” dell’Europa e sulla candidatura della Turchia, un confine interno all’Europa sfidata a confrontarsi con tradizioni spirituali e culturali differenti, che includono a breve anche l’orizzonte mediterraneo della Cina.
Negli interventi wojtyliani ( in particolare al Parlamento europeo di Strasburgo nel 1988 e nell’istruzione postsinodale Ecclesia in Europa del 2003) emerge il superamento del paradigma neocarolingio dell'”Europa delle cattedrali” e l’abbandono dell’ipotesi di Stato confessionale. Il riconoscimento del pluralismo di culture, etiche e tradizioni religiose, in un quadro di laicità inclusiva, viene accompagnato da una rimessa in valore del fattore spirituale e religioso, dal dibattito etico sui diritti dell’Uomo e dal rilancio della funzione pubblica delle Chiese nella società, finalizzato alla salvaguardia dell’umanesimo europeo per un suo ruolo globale. Giovanni Paolo II sostiene lo sviluppo di un ecumenismo europeo delle Chiese (assemblee di Basilea e di Graz). Egli si fa parte attiva della costruzione di una grande Europa, nutrita delle due tradizioni cristiane latina e orientale, per cui associa a San Benedetto come compatroni d’Europa i santi Cirillo e Metodio. Più dei predecessori Wojtyla è sensibile alla specificità delle tradizioni e delle culture nazionali, che si accompagnano alle suggestioni dell’appello alle fonti dell’unità spirituale dell’Europa (discorso a San Giacomo di Compostela del 1982, allocuzione al VI Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa del 1985) per contrastare le derive di un secolarismo devastatore. Di qui la sua insistenza per il riferimento nella Costituzione europea alle radici religiose, «che non toglierà nulla alla giusta laicità delle strutture politiche».
Il magistero di Benedetto XVI sull’Europa riprende quello del suo predecessore. Si analizzano in particolare i testi pontifici ai deputati del PPE (2006), alla Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (2007) nel cinquantenario dei Trattati di Roma, e al Cancelliere Angela Merkel (2007), dai quali sembra emergere la preoccupazione per il recupero dell’identità propria dei popoli nel progetto della casa comune, un’identità tessuta di valori universali che il cristianesimo ha contribuito a forgiare. Ratzinger contesta all’Europa una «singolare forma di apostasia» da se stessa prima ancora che da Dio, finendo così per diffondere la convinzione che la «ponderazione dei beni» sia l’unica via del discernimento morale e che il bene comune sia sinonimo di compromesso sui valori essenziali. Nella visione pontificia l’Unione europea si troverebbe in deficit di legittimazione senza una continua riflessione sui propri presupposti culturali ed etici. Benché il rapporto tra laicità e «radici cristiane» non sembri pervenuto ad una chiarezza tale scongiurare cadute integraliste, pure si può ammettere che Valori moderni come la libertà di coscienza e religiosa, lo Stato di diritto,l’ordinamento del mercato, la separazione fra Stato e Chiesa, l’apertura alla solidarietà, con speciale riferimento all’Africa, siano integrati senza frustrazioni nell’europeismo pontificio.
Riferimenti Bibliografici
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