L’antropologia, come scienza generale dei sistemi culturali, ha certo come suo oggetto di studio l’uomo urbano: o meglio, non c’è ragione teorica per la quale l’antropologia debba occuparsi dei boscimani e dei friulani e non possa dirci niente dei napoletani, dei modenesi o dei parigini. Fatto sta che dei sistemi mentali dei primi, dei boscimani o dei fulani, sappiamo abbastanza, mentre dei sistemi mentali delle società complesse sappiamo molto poco. In realtà non sappiamo neanche bene che cosa si debba intendere per società complessa.
L’etnografia del Noi è un capitolo recente delle nostre discipline e principalmente è un capitolo ancora carico di interrogativi. Qual è il luogo dell’antropologia del Noi? come si definisce la complessità? e la città? Da tempo ormai gran parte degli antropologi ha rigettato la vecchia e dannosa opposizione società semplici vs società complesse, o peggio società senza storia vs società storiche. Tutte le società, in diverso grado, sono società complesse e storiche. I problemi e le divergenze cominciano, tuttavia, quando si tratta di stabilire come studiare società ad alto livello di complessità, se è possibile studiare quel che per definizione sembra il luogo principe della complessità: la città. Direi che la città è l’aspetto specifico della storia dell’Occidente: quel che caratterizza la città mi sembra caratterizzi l’Occidente. Ne discuteremo, ma mi sembra che i caratteri fondamentali della città occidentale siano due: il carattere oppositivo e il carattere espansivo. La città (e l’Occidente) è per sua natura “contro” e per sua natura è “coloniale”, macchina che fagogita. Ripensiamo la storia della città in questa chiave. Gli antropologi (pochi) ne hanno parlato, ma più degli antropologi ne hanno parlato gli scrittori, da Balzac a Calvino, da Forster a Pasolini: dall’opposizione tra urbano e rustico, tra meter-polis e colonia, fino alla città che si oppone a se stessa, fino alla città che fagogita se stessa.
E i cittadini? I cittadini sono un’altra scoperta delle scienze sociali. Ne parlava Balzac magnificamente quasi all’inizio del secolo passato e meno magnificamente ne parlava Simmel all’inizio del secolo che passa. Il cittadino è uno strano essere culturale. Il cittadino – diceva una volta Massimo Cacciari – non è uomo culturale, perchè per sua natura la città moderna è destinata continuamente a superare se stessa, non ha etica, non ha ethos, non ha cultura. Il secondo argomento del nostro incontro è, dunque, la cultura del cittadino, la nostra cultura, la non cultura, questa nostra capacità di essere, ogni giorno, tanti. Mille maschere. Il camaleontismo elevato a modello culturale. L’antropologia non sembra attrezzata per tutto ciò. Gli uomini che gli antropologi studiano devono avere una loro identità comune, devono, per usare la metafora di Forster in Casa Howard “almeno possedere un ombrello”. Anche quando la città non sia estesa, si sono moltiplicati i personaggi, gli sguardi, i punti di vista e per studiare L’uomo della folla sembrano più adatte la sociologia statistica e la psicanalisi, o per dirla ancora con Forster questi uomini “li possono avvicinare soltanto gli statistici o i poeti”.
Ma torniamo all’antropologia. Altrove l’antropologia urbana ha prodotto studi di buon livello; in Italia siamo ancora agli inizi. Molto in breve distinguerei due fasi dell’antropologia urbana in Italia: dalla fine degli anni Settanta a buona parte degli anni Ottanta e la fase più recente.
Diversi libri hanno affrontato nella prima fase la questione urbana, in parte sulla falsa riga del libro di Castells La question Urbaine, in parte sull’idea della “impossibilità della cultura”. Penso al libro La città senza luoghi (Costa e Nolan, 1990), curato da Massimo Ilardi, il messaggio che vi si espone è in buona sostanza il seguente: a) la città è il luogo della non-cultura, della non-ethicità, della spontaneità; b) ogni tentativo di antropologia della città è un tentativo di costruzione dell’ordine e, quindi, un tentativo di potere; c) la città è per definizione luogo mortifero dell’Occidente.
Tante volte, in polemica con gli autori, mi è capitato di sostenere che le cose non vanno proprio come previsto negli anni Ottanta.L’idea di fondo, l’idea di una città-labirinto, di una città che si compone e scompone all’infinito, di una città senza percorsi, di una città mortifera, mi sembra sinceramente vecchia. Mi sembra vecchia l’idea della città come luogo del perdersi. Intendiamoci: in queste analisi c’è molto di vero, ma è sempre pericoloso passare dalla osservazione etnografica all’ideologia, dall’interpretazione alla pretesa di verità. Quel che le ricerche ultime sottolineano è piuttosto quel che Kelvin Lynch aveva ipotizzato a metà secolo (Image of the city, 1960): le città si moltiplicano al proprio interno, si scompongono e si ricompongono nei modi più impensati, ma ognuno in qualche modo vi ritrova le proprie immagini, i propri percorsi, le proprie piante.
La città non ha modificato la sua natura, è rimasta come diceva Benjamin, grande bestemmiatrice di simboli; ma quel che le nuove ricerche mettono in luce è che a queste forze se ne oppongono altre, altre forze, non tradizionali, che tendono alla costruzione di culture possibili. Ognuno ha in testa la propria mappa della città, ognuno mette in atto la sua strategia di immaginabilità urbana e al di sotto delle differenze e delle individualità dell’esperienza, si delineano imparentamenti originali, omologie nuove, modelli di valori e rituali difficilmente prevedibili a partire dalla sola fisicità urbana.
La città, la cultura della città, diventa la vera sfida all’antropologia attuale. Per fare antropologia di questa città, per scoprire nuove tribù urbane, le nuove aggregazioni, i nuovi sistemi mentali ci vorrebbe il genio di Balzac, o di Benjamin, e certo più la descrizione densa di Geertz che non la geometria di Levi-Strauss.
Riferimenti Bibliografici
- Canevacci M., La città polifonica, Seam, 1993;
- Hannerz U., Esplorare la città, Bologna, Il Mulino, 1992;*
- Ilardi M., La città senza luoghi, Costa e Nolan, 1990;
- La Cecla F., Perdersi. L'uomo senza ambiente, Roma-Bari, Laterza, 1988;
- Lombardi Satriani L., Nel labirinto, Roma, Meltemi, 1996;
- Pitto C., Antropologia urbana, Milano, Feltrinelli, 1980;
- Remotti F., Noi primitivi, Torino, Bollati Boringhieri, 1990;*
- Signorelli A., Antropologia urbana, Milano, Guerini, 1996;*
- Sobrero A.M., L'Italia e l'Europa verso una società multirazziale, in «Up and Down», 1989, 3;
- Sobrero A.M., I caratteri del neorazzismo italiano, in «MondOperaio», 1990, 5;*
- Sobrero A.M., Terzo Mondo: dalla retorica alla realtà, in «MondOperaio», 1991, 9;*
- Sobrero A.M., Antropologia della città, Roma, Nuova Italia Scientifica, 1992;*
- La Ricerca Folklorica, n. 20, 1989 (numero monografico sull'Antropologia urbana).*
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