La storia della cultura può essere ricondotta al conflitto e ai tentativi di conciliazione tra i due momenti dell’uguaglianza e della differenza, nei quali si esprime il significato pratico degli uomini l’uno per l’altro. Se obiettivamente essi hanno un’uguale importanza, dal punto di vista soggettivo la differenza dagli altri presenta un interesse ben maggiore dell’uguaglianza. L’interesse pratico del singolo è diretto a ciò che gli procura vantaggio rispetto ad altri e non a ciò che condivide con loro. Nella coscienza risalta la differenza mentre l’uguaglianza esiste piuttosto nella forma dell’inconscio. Inoltre è la differenziazione dagli altri a promuovere la nostra attività.
L’apprezzamento del nuovo può convivere con l’apprezzamento di ciò che è antico e consolidato, benché forse di livello inferiore, per la sicurezza che quest’ultimo è in grado di offrire. Qualche sentimento di appartenenza a un’entità collettiva, se non altro ideale, sembra necessario per valutare la verità e la correttezza dell’agire: il singolo ha bisogno, per raggiungere sicurezza rispetto alle sue massime, di confrontarsi con una molteplicità di altre rappresentazioni soggettive (…).
Le due esigenze di uguagliamento e di differenziazione non sembrano d’altronde così radicalmente opposte. Simmel riporta entrambe a una comune radice, il desiderio di avere e godere più di quanto offra ogni dato momento, che costituisce a livello umano l’equivalente del desiderio degli esseri viventi di salire più in alto. La differenziazione non sarebbe che lo strumento di questo impulso ad accrescere la felicità. Le sue strategie possono mutare a seconda delle circostanze. Da principio l’uguaglianza con chi sta più in alto può presentarsi come il primo contenuto disponibile in cui si realizza l’impulso alla propria ascesa. «L’interesse per il quale l’inferiore vuole imporre l’uguaglianza – afferma Simmel con accenti che ricordano il Nietzsche di Genealogia della morale – non è assolutamente diverso da quello che ha il superiore al mantenimento della disuguaglianza». In entrambi i casi è in gioco, si potrebbe commentare, una volontà di potenza. L’uguaglianza tra gli uomini, accertabile in misura molto circoscritta nella realtà, non autorizza infatti ad affermare prescrittivamente il suo valore di ideale: perché questo passaggio si compia c’è bisogno di una volontà. Tanto è vero che ogni conquista dell’uguaglianza diviene punto iniziale di un’ulteriore ricerca di posizioni più favorevoli. Vano è lo sforzo del socialismo di sottrarre agli individui l’occasione di distinguersi attraverso la creazione di un imponente patrimonio collettivo. Le modeste differenze che in ogni caso non potrebbero essere eliminate finirebbero per assumere in ogni modo un forte significato grazie a un’accresciuta sensibilità. E’ questa sensibilità alle differenze in definitiva l’esito non reversibile dell’evoluzione, che rende vuoto ogni tentativo di livellamento e lascia sperare che i valori di civiltà della differenziazione possano essere in ogni caso salvaguardati.
(da F. Andolfi, Simmel e la sensibilità alle differenze, in G. Simmel, Forme dell’individualismo, Roma, Armando editore, 2001, pp. 27-29)*
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