La città dell’occidente è divenuta indiscutibilmente il luogo dell’ansia. Tuttavia, da qualche anno, le paure tradizionali, legate all’ambiente, all’inquinamento e in generale alla qualità della vita hanno ceduto il passo ai timori di tipo “identitario”. La vita urbana appare minacciata dalla microcriminalità, dagli immigrati, dai nomadi e in generale dai disturbatori concreti della vita pubblica come i nuovi poveri.
Un’equazione automatica viene ormai stabilita tra “noi” (abitanti più o meno stabili del quartiere, della regione e dello stato) e “loro” (gli instabili, i migranti, gli stranieri). Un’equazione che esclude non solo i “diversi” tradizionali ma che rende diverso chiunque non corrisponda all’immagine che gli inclusi nei diversi ordini urbani si sono fatti di se stessi. Benchè i dati sulla microcriminalità, così come quelli sulla consistenza dei flussi migratori, non confermino questa percezione crescente (alimentata dai media locali e nazionali, nonché assunta come dato di fatto nell’orizzonte politico e nell’agenda dei partiti), il tema dell’insicurezza domina la cultura urbana del nostro tempo.
Nell’intervento, la cultura dell’insicurezza verrà messa in relazione con le straordinarie trasformazioni che, da circa un decennio, i processi della globalizzazione stanno innescando nell’ambiente economico e sociale. Quanto più la produzione si de-localizza, il lavoro si privatizza (telelavoro, flessibilità, precarizzazione e intermittenza delle mansioni, ecc.), tanto più le forme storiche di aggregazione sociale (sindacati, partiti, associazioni del tempo libero, ecc.) vengono sostituite da aggregazioni di tipo territoriale in cui i cittadini rivendicano una nuova identità, volta per volta “culturale”, “urbana” o “neonazionale”. Nascono qui, come in ogni situazione in cui sia in gioco la produzione di identità, i processi più o meno inconsapevoli di costruzione dei nemici e delle loro immagini.
I politici corrotti, i delinquenti, gli orchi (si pensi alle recenti mobilitazioni in Belgio contro i pedofili), ma anche gli stranieri, i delinquenti notturni, i parassiti urbani diventano l’occasione per ridefinire in chiave identitaria le comunità locali. Quanto questi processi di mobilitazione dal basso contengano i germi di un nuovo totalitarismo democratico (pur muovendo da esigenze spesso legittime) è mostrato dall’intolleranza e dal neorazzismo (o “razzismo senza razze”, come dice Balibar) con cui i “nemici” vengono esclusi sia concretamente sia nelle diverse pratiche linguistiche e culturali. La percezione dell’insicurezza, ormai dominante nelle città e nelle metropoli del nord ricco del mondo, si rovescia così nel comunitarismo e nella diffusione dell’ostilità tra gruppi locali.