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Quando nel XVI secolo Bernardino de Sahagún cominciò a farsi spiegare le caratteristiche della religione indigena ebbe un’idea geniale. Di fronte a una serie di centinaia di divinità che tendevano a sovrapporsi e confondersi capì che l’unica via per venirne a capo era quella di confrontare le nuove, per lui orrende, espressioni del paganesimo azteco con quelle più note del mondo classico. Inventò così il metodo comparativo dell’etnografia moderna. Huitzilopochtli divenne un altro Ercole, Tezcatlipoca un altro Giove, e così via. Peccato, però, che quest’idea geniale e, da un punto di vista ermeneutico ed epistemologico, estremamente feconda si sia rivelata sostanzialmente sbagliata, perché la religione azteca era veramente “altra”, dato che le divinità azteche, in realtà, avevano una natura intrinsecamente diversa da quella degli dèi dell’Olimpo. Infatti come ha osservato López Austin esse «non avevano una individualità assoluta: si fondevano e si sdoppiavano; cambiavano attributi e nomi a seconda delle circostanze». La tendenza, quindi, a considerarle delle “persone ben definite” è sostanzialmente errata, perché «i Mexica pensavano più in termini di forze sacre, con caratteristiche e manifestazioni diverse». Ma, se queste erano le valenze propriamente teologiche della loro religione, si deve dire che nei miti, nei rituali e nell’arte gli stessi Aztechi parlavano e raffiguravano le loro divinità come delle “persone”.
Volendo, quindi, presentare i loro dèi da questo punto di vista, si deve dire che al vertice si trovava Tezcatlipoca (“Specchio Nero che Fuma”), il dio onnipotente e onnisciente, che in alcuni casi era chiamato con espressioni che si potevano adattare perfettamente al Dio dei cristiani (ma, curiosamente o, forse, “pour cause”, Sahagún non se ne rese conto). Per certi versi una sua manifestazione, come Sole invitto, era Huitzilopochtli (“Colibrì di Sinistra”), il dio etnico dei Mexica che era nato già adulto dalla Terra-Coatlicue e aveva sconfitto le forze dell’oscurità: le stelle e la sorella, la Luna-Coyolxauhqui. (…)
Nella Mesoamerica la divinità che poi si sviluppa nel Quetzalcoatl degli Aztechi (Serpente Piumato, ma anche Gemello Prezioso) è già presente con un aspetto leggermente diverso nel Preclassico. Originariamente è una divinità della pioggia, associata all’acqua e al cielo. E per quanto il rapporto tra il serpente, il cielo e la pioggia possa apparire strano, esso diventa pienamente comprensibile se si considera che il serpente con le ali-penne non è altro che l’arcobaleno, il fenomeno che unisce il cielo e la terra subito dopo i temporali. Successivamente, a partire dal Periodo Classico, il Serpente Piumato assume l’aspetto che mantiene fino alla cultura azteca, che viene associato anche alla sovranità. Nella cultura azteca Quetzalcoatl è soprattutto un dio creatore perché, assieme a Tezcatlipoca, ha un ruolo fondamentale nelle creazioni precedenti, ha creato gli uomini, ha dato loro il mais e partecipa alla creazione delle “anime” di tutte le persone. Tuttavia egli rimane associato all’acqua, perché, pur avendo ceduto a Tlaloc e a Chalchiuhtlicue le sue specifiche valenze pluviali, come Dio del Vento porta le nuvole delle piogge estive. Peraltro, in questo suo aspetto egli rinvia di nuovo alla vita, perché il vento è metaforicamente associato al respiro.
(da A. Aimi, Gli Aztechi. Il destino di un impero, Firenze-Milano, Giunti, 2019, pp. 58 e 116)