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Il capitalismo che abbiamo creato in questi ultimi cento anni sta esaurendo la sua capacità generativa e morale. L’Europa, essendo la terra che per prima ha inventato l’economia di mercato e la democrazia, è quella che, dentro l’Occidente malato, più sta soffrendo per le loro crisi. Ma proprio per la sua grande e lunga storia, l’Europa può essere il luogo da cui può ripartire una nuova fase dell’economia di mercato e della democrazia, uno spirito del post-capitalismo. Questa grande operazione che ci attende è molto di più di un’uscita tecnica o solo economica dalla crisi o semplicemente un cercare di “ritrovare” il giusto rapporto con l’economia. Non si tratta, infatti, di ritrovare né di ritornare in alcun luogo, poiché non c’è mai stato un luogo del passato, recente o remoto, che ha conosciuto un’economia civile e un mercato equo su larga scala. Le società, le economie e i mercati del passato non sono luoghi da rimpiangere nostalgicamente, poiché in essi mancavano molti di quegli ingredienti che oggi consideriamo essenziali per una vita buona (quelli che la modernità ha voluto chiamare libertà, uguaglianza e fraternità). Un’economia migliore di quella che conosciamo oggi non può che trovarsi di fronte a noi: dovrà essere il parto che queste doglie stanno annunciando e preparando, un progetto antropologico civile e politico prima di essere economico. C’è gente che oggi sogna e spera in un mondo giusto e solidale finalmente liberato dai mercati, dalla moneta, dalle banche: io non sono tra questi, perché cercando e amando la giustizia e la solidarietà ho imparato che una buona società non si costruisce senza mercati, economia e finanza, ma soltanto con buoni mercati, buona economia e buona finanza; e non si dà buona economia né buona vita senza reciprocità e senza gratuità, anche dentro i mercati. È ancora possibile salvare l’economia di mercato, ma solo se saremo capaci di superare questa stagione di capitalismo che sta tradendo le stesse promesse dell’economia di mercato moderna. E sapremo così dar vita a un’economia della persona, che pone al centro i beni relazionali, i beni ambientali, che non misura il proprio benessere principalmente sulla base del Pil, ma, come ha avuto modo di dire recentemente il sociologo Alain Caillé, sulla base di quanta gratuità è capace di generare tra la gente. C’è dunque un’ipotesi antropologica, prima di essere di scienza economica, che sostiene dal basso questa ipotesi. Gli esseri umani, sia in quanto individui sia in quanto persone, sono animali troppo complicati e simbolici per accontentarsi delle merci e del denaro: queste cose sono utili alla vita, in certi momenti e in certe fasi della vita sono molto utili e forse indispensabili (soprattutto quando si è in condizioni di indigenza), ma noi umani chiediamo e vogliamo molto di più dalla nostra vita per poterla definire una vita felice che complessivamente funziona. Questo “molto di più” rispetto alle merci, al comfort, al denaro, è fatto di tante cose, ma c’è un elemento che accompagna molte di esse: la dimensione interpersonale, quei beni che chiameremo relazionali. Per questa ragione, la visione del mercato contenuta in questo saggio è direttamente e costitutivamente sociale e relazionale, centrata sulla categoria del mutuo vantaggio e della mutua assistenza, quindi sulla reciprocità e sulla gratuità. Questa nostra lunga età di crisi deve essere anche un richiamo alla responsabilità individuale e collettiva dell’azione, ma anche, e forse soprattutto, del pensiero, se è vero, come denunciò profeticamente nel 1967 Paolo VI nella sua Populorum progressio, che il «mondo soffre per mancanza di pensiero» (n. 85). Una dimensione di questo appello alla responsabilità è la necessità di riaprire oggi un nuovo dibattito, vero e profondo, sulla natura dell’impresa, delle banche, del profitto, del mercato e quindi sul capitalismo. La sfida, però, sta nel riuscire a parlare di questi grandi temi di civiltà liberandosi da ideologie di destra e di sinistra, laiche e cattoliche, dalle loro parole logore che, di fatto, hanno impedito negli ultimi vent’anni che si riaprisse una stagione di critica profonda e al tempo stesso alta del nostro sistema economico capitalistico.
(da L. Bruni, Le nuove virtù del mercato nell’era dei beni comuni, Roma, Città Nuova, 2012, pp. 14-16)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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