Il martirio è una forma di suicidio altruistico. Così lo ha definito Durkheim in un saggio che resta fra i classici della sociologia, scritto nel 1897, intitolato appunto Le suicide. Sacrificare la propria vita per un bene collettivo è diverso da chi se la toglie, perché affetto da gravi crisi depressive o per compiere un gesto estremo di protesta individuale contro una società che gli appare ostile e inospitale. Un gesto altruistico nel primo caso, egoistico nel secondo. Durkheim aveva, in verità, coniato una terza formula per spiegare l’aumento dei casi di suicidio in epoca moderna: il suicidio anomico. «Anomico» nel senso di senza norme. Si trattava di un tipo di comportamento autodistruttivo rivelatore della crescente difficoltà di imporre norme sociali cogenti agli individui nelle società moderne.
(…) Se il suicidio anomico costituisce il segnale preoccupante di una società senza più solidarietà, senza ordine né norme, quello altruistico, invece, si colloca sul polo opposto. Proprio perché funziona molto bene il grado di integrazione dell’individuo alle norme sociali, è più facile trovare una persona disposta a sacrificare volontariamente la propria vita per il trionfo del principio di solidarietà, che lo lega alla società o al gruppo sociale cui attribuisce un valore superiore rispetto alla propria vita.
(…) Martiri, eroi e santi, in fondo, testimoniano di volersi dissolvere nel tutto che appare, ai loro occhi, più grande e potente della piccola vita che viene sacrifica-ta. È una sorta di esperienza mistica violenta: ci si fonde con il tutto con un gesto volontario di messa a morte di se stessi. I martiri della Patria e della Fede divengono perciò oggetto di venerazione pubblica: ricordàti nella e dalla memoria collettiva essi vengono così risarciti pubblicamente per aver compiuto un gesto meritorio per il bene di tutti o per il trionfo della verità.
(da E. Pace, Perché le religioni scendono in guerra?, Laterza, Roma-Bari, 2004, pp. 110-11).
«Il martirio può essere interpretato come una forma possibile di suicidio altruistico, un gesto sacro, estremo e potente, d’affermazione della solidarietà sociale che lega un individuo al gruppo d’appartenenza. Tuttavia, non si tratta tanto dell’annegamento dell’individuo nel mare liquido dell’etica di gruppo; al contrario, con il sacrificio di sé, l’individuo si afferma come sovrano, per riprendere l’idea fulminante di Georges Bataille, dal momento che egli esercita, andando incontro consapevolmente alla morte, il potere della perdita. Per far ciò occorre però che l’individuo varchi la soglia del sacro ed entri in un mondo libero dalla paura della morte. La lezione si propone di mostrare la genealogia di quest’idea, ricostruendo il percorso che la sociologia della religione del Novecento compie da Le Suicide (1897) e Les formes élémentaires de la vie religieuse (1912) d’Emile David Durkheim sino al Collège de sociologie sacré di Bataille, Caillois e Leiris (1937-39), passando per il saggio sul dono di Marcel Mauss (1925) le Les causes du Suicide (1939) di Maurice Halbwachs.»
(traccia della lezione)
Riferimenti Bibliografici
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