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Il legislatore è un personaggio antico che è divenuto, nella modernità, oggetto di una nuova funzione. È questa nuova funzione che si vorrebbe comprendere, indagando l’esigenza di ritorno del passato nel presente, ossia sforzandosi di descrivere ciò che si trasmette o che impercettibilmente passa dalla politica antica alla politica moderna mentre, in modo correlato, ciò che si modifica e diviene possibile nel corso di questa trasmissione qualifica in modo ulteriore l’antico rendendolo significativo nella dimensione attuale. Il punto fermo di questa riflessione è noto: il legislatore viene ripreso in uno dei testi fondativi della modernità politica, il Contratto sociale, attraverso l’evocazione di figure antiche e la ridefinizione del suo ruolo moderno. Anche il problema specificamente moderno che il legislatore rappresenta è ben noto: si tratta in pratica di far penetrare la politica fondata sulla ragione nella realtà storica. Questa inscrizione – in forma di evocazione e di rielaborazione – risponde dunque a un dilemma, che si può cogliere a numerosi livelli. Innanzitutto, si comincia dalla risoluzione di un’astrazione. Il contratto rischia di non essere altro che un’astrazione se la sua realizzazione nell’ambito di un popolo determinato, e di tutto il popolo come determinato, non è resa possibile.
C’è infatti una differenza inseparabilmente temporale e concettuale tra l’istituzione del popolo e l’istituzione del contratto: il legislatore è l’istitutore, l’agente istituente del popolo a livello del quale è possibile l’istituzione del contratto. Questi porta dunque a osservare l’istituzione nel suo farsi, a livello del collettivo politico da costituire. Ciò implica una sorta di precessione. E questa precessione si articola necessariamente nella dimensione del tempo reale, che è il tempo storico. Il suo intervento contingente, non dominabile con gli strumenti della teoria, la sua interruzione evenemenziale, rende possibile questo salto nel tempo, dove il corpo politico precede se stesso nel processo della sua istituzione. Il legislatore si mantiene per una parte essenziale esterno rispetto alla filosofia. E lo è almeno per un aspetto, che è quello della sua interruzione. Tutto ciò che si può dire, in filosofia, è che c’è un kairos legislatore, e che questo stesso kairos è il solo vero criterio d’identificazione, cioè di smascheramento dell’usurpatore: “La scelta del momento dell’istituzione è uno dei caratteri più sicuri attraverso i quali si può distinguere l’opera del legislatore da quella del tiranno” (Rousseau, Contratto sociale, II, X). Qui è il legislatore che sceglie: il filosofo è soltanto colui che valuta la pertinenza storica della scelta. Se il legislatore sceglie bene il suo momento, allora è un vero legislatore.