Esistono basi teoriche e fattuali per affermare che attraverso il progresso e la diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, del libero movimento dei capitali e dell’espansione del commercio mondiale, la globalizzazione reca in sé importanti opportunità. Sono opportunità di crescita economica; di sviluppo sociale e personale; di riduzione della disoccupazione e della povertà; del miglioramento della qualità del lavoro e della vita. Tuttavia, esistono anche le basi per sostenere che al fine di realizzare tali potenzialità, la globalizzazione dovrebbe venir affrontata con modelli mentali e processi decisionali differenti da quelli sinora utilizzati dalla maggior parte degli attori politici ed economici in essa coinvolti. Un primo passo in tale direzione consiste nel verificare quali siano state finora le reali prestazioni della globalizzazione […]. Fra i tanti soggetti che s’interessano di globalizzazione si possono distinguere almeno quattro posizioni differenti. In primo piano si trovano coloro per i quali la globalizzazione è un processo irresistibile che sta trasformando il mondo intero; recando, essi insistono, solamente benefici […]. Altri soggetti, per contro, tendono a minimizzare in varia misura vuoi la novità della globalizzazione, vuoi la sua reale portata. Essi sottolineano a) che alla fine del secolo scorso l’economia mondiale risultava, grosso modo, altrettanto internazionale di quanto non sia al presente, nonché b) che circa l’85 per cento degli scambi mondiali avvengono tuttora all’interno delle macroregioni della Triade – Nord America, Europa e Giappone. Per essi, in sostanza, la globalizzazione è un processo che riguarda un futuro non prossimo, piuttosto che il presente. Una terza posizione raggruppa coloro, il cui numero è cresciuto dopo le crisi economiche del 1997-98 verificatesi nel Sud-est asiatico, in Sud America e in Russia, che della globalizzazione in corso enfatizzano solamente gli aspetti negativi […]. V’è infine la posizione d’una piccola minoranza di soggetti secondo i quali la globalizzazione è un processo originale di grande portata, il quale genera effetti rilevanti sia negativi sia positivi. In aggiunta, essi insistono sul fatto che i primi sono di regola ignorati o sottovalutati, mentre i secondi potrebbero essere maggiori se la globalizzazione venisse in qualche misura sottratta agli automatismi della tecnologia e di mercati finanziari divenuti autoreferenziali. Chi scrive si atterrà a quest’ultima prospettiva. Della globalizzazione i media, le organizzazioni internazionali, gli esperti economici che aderiscono alla prima posizione concordano nel dire che essa favorisce a) la crescita economica, b) la riduzione della disoccupazione, c) l’aumento della produttività. In realtà, se si esaminano le serie storiche di questi indicatori, riferiti all’OCSE o più restrittivamente ai paesi oggi parte dell’UE, si constata che esse non sorreggono affatto simili affermazioni.
(da L. Gallino, Globalizzazione e disuguaglianze, Roma-Bari, 2000, pp. 97-99)
Riferimenti Bibliografici
- N. Chomsky, Sulla nostra pelle, Milano, 1999;
- M. Chossudovsky, La globalizzazione della povertà, Torino, 1998;
- M. Regini, Modelli di capitalismo, Roma-Bari, 2000;
- R. Went, Globalization, Amsterdam, 1997.
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