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Il dialogo interreligioso, analizzato da un punto di vista teologico, può essere ricondotto a tre modelli principali: apologetico-missionario, etico, spirituale-mistico. Va da sé che tale schematizzazione non è l’unica possibile. Naturalmente, di fronte a questi modelli di dialogo realizzati con maggiore o minor successo, si creano situazioni (purtroppo sempre più frequenti) in cui il dialogo è sopraffatto dalla prevaricazione e dalla violenza. È evidente che qualunque forma di dialogo interreligioso, anche la più problematica teologicamente, è sempre migliore della mancanza di dialogo e della prevaricazione. Nel modello apologetico-missionario il dialogo assume un ruolo puramente strumentale. Nel confronto con l’altro, l’obiettivo principale del colloquio è prima di tutto dimostrare che il messaggio cristiano contiene la totalità della verità. Il secondo obiettivo che ne consegue è convincere l’altro ad abbracciare in maniera incondizionata la verità cristiana. In questo modello riscontriamo l’assolutizzazione del dogma cristiano, inteso prima di tutto come un insieme di proposizioni derivanti direttamente dalla Scrittura. Tale assolutizzazione, tuttavia, oggi non è ascrivibile al cattolicesimo romano (come ha fatto Harnack). È un modello che caratterizza perlopiù le chiese evangeliche conservatrici nonché la corrente evangelicale, la cui presenza è trasversale a tutte le confessioni cristiane. Visto nella prospettiva del pluralismo religioso e culturale, questo modello viene talvolta valutato come teologicamente limitato e limitante per il dialogo interreligioso. Bisogna ammettere, tuttavia, che si tratta di un modello che rinforza lo slancio missionario di tante persone che credono nella necessità di annunciare l’evangelo «a tutti i popoli». Chi scrive è convinto che il modello apologetico-missionario non sia superato. Nell’ambito del dialogo interreligioso vero e proprio, bisogna tuttavia avvertire del proprio proposito missionario il/i partner. Se tale premessa non viene esplicitata, si rischia di creare situazioni piuttosto ambigue. Il più autorevole teorico del modello etico è indubbiamente Hans Küng. In esso la dogmatica è subordinata a un processo dialogico volto al raggiungimento di una serie di obiettivi di carattere sociale subordinati a loro volta a un’etica universalmente condivisibile e (auspicabilmente) condivisa. Vista in tale prospettiva, la dogmatica assume un ruolo puramente descrittivo, limitato talvolta alla pura narrazione della storia della dottrina. Il giudizio teologico è sospeso e il carattere vincolante delle enunciazioni è orientato secondo criteri etici e non teologici. Al di là di queste valutazioni critiche, va detto tuttavia che si tratta di un modello che ha raggiunto oggi un notevole livello di consenso, ufficialmente certificato dal Parlamento mondiale delle religioni. Si tratta anche di un modello che spesso è utilizzato non solo nell’ambito del dialogo interreligioso vero e proprio ma anche nei dialoghi che diversi stati del mondo conducono con le confessioni religiose presenti sui loro territori. Indubbiamente in questo ambito specifico si possono prendere in considerazione soltanto obiettivi di carattere etico e giuridico se si vuole salvaguardare pienamente la neutralità degli stati moderni nei confronti delle confessioni religiose.
Nel modello spirituale-mistico il dogma diventa di fatto irrilevante. La categoria privilegiata è quella dell’esperienza, sia individuale sia collettiva, e la spiritualità sostituisce la teologia. La dimensione dialogica si colloca non tanto nella contingenza quanto nella trascendenza. L’unica teologia ammessa è quella apofatica; tutte le altre forme del pensare teologico sono soggette a una critica abbastanza forte, anche se di carattere più implicito che esplicito. A sua volta, questo approccio alle religioni si divide in due correnti. La prima, piuttosto elitaria, è quella esoterica o iniziatica. Considerato il suo carattere particolare, questa corrente può contribuire al dialogo interreligioso soltanto in maniera indiretta perché le sue categorie di riferimento non sono comprensibili a persone non iniziate. La seconda corrente, facilmente accessibile ai più, sposta il baricentro del dialogo dalla dottrina alla spiritualità. I testi sacri vengono dunque letti principalmente in chiave simbolica e la molteplicità delle interpretazioni non è solo ammessa, bensì teorizzata. Una particolare manifestazione di questa corrente sono gli incontri interreligiosi di preghiera, tra cui spicca di sicuro quello di Assisi del 1986 con le sue edizioni successive. Non è il caso degli incontri di Assisi, ma in alcuni altri casi particolari questo modello di dialogo rischia di trasformarsi facilmente in una forma di sincretismo, il più delle volte inconsapevole. Fuori di ogni ragionevole dubbio, tutti e tre i modelli appena descritti sono destinati ad avere lunga vita e con ogni probabilità il loro utilizzo porterà frutti tutt’altro che trascurabili. Il ruolo e il contributo della dogmatica evangelica al dialogo interreligioso costituiscono oggi un campo di lavoro particolarmente fertile. Ogni dialogo (ecumenico o interreligioso) che sia veramente tale richiede l’osservanza di tre brevissime regole. La prima è che le persone dialoganti conoscano perfettamente le proprie posizioni dottrinali. La seconda è che siano in grado di esporle chiaramente e pienamente al partner del dialogo. La terza è che le parti dialoganti siano pronte a rivedere e a rielaborare le proprie posizioni in base alle cose condivise nel corso del dialogo.
Queste tre regole costituiscono al tempo stesso i tre compiti della dogmatica evangelica: definire i contenuti della dottrina, elaborare strumenti linguistici e concettuali capaci di comunicarla agli altri, rivedere criticamente i propri contenuti alla luce dei dialoghi con le religioni non cristiane. In questo compito è assolutamente necessario un approccio interdisciplinare agli scritti del Nuovo Testamento affinché la confessione della fede cristiana possa essere pronunciata con maggiore convinzione, ma anche con maggiore apertura alle altre fedi viventi.
(da P.A. Gajewski, Dogma cristiano e dialogo interreligioso: quale rapporto?, in «Protestantesimo», vol. 71, n. 1-3, 2016, pp. 106-109)*
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