La specificità irriducibile della funzione filosofica consiste in una sobria, “socratica” destabilizzazione dei discorsi della polis. Funzione radicale, perché irrisolvibile in metodologia o in teoria: nell’interesse metodico o nell’edificare teoretico. E tuttavia funzione “sobria”, rigorosamente “razionale”: funzione non confondibile con alcun attributo mistico-sapienziale. Individuare il tratto peculiare e irrecuperabilmente destabilizzante del pensare filosofico nella assidua, sistematica destrutturazione dei discorsi – di tutti gli ordini di discorso – che si generano, si sovrappongono e s’intrecciano nel tessuto della polis, significa certamente rivendicare il carattere “pubblico” (e non di mero intrattenimento privato) della filosofia. Non significa, tuttavia in nessun caso, intendere la “filosofia
pubblica” nel senso, divenuto corrente nel dibattito filosofico italiano dei nostri giorni, di un’ossessione prescrittiva. Piuttosto, la funzione radicale, e eminentemente pratica, della filosofia risiede, più che nel confezionare risposte e allocare progetti sul mercato politico, nel provocare effetti di verità interrogando e analizzando: nell’affermare, cioè, la dimensione dividente-decidente della critica. Una “critica” finalmente ricondotta al suo significato originario: krínein, giudicare discernendo.
Riferimenti Bibliografici
- Agostino, De magistro, in Id., Il maestro e la parola, Milano, 1993;*
- Derrida, J., Politiche dell'amicizia, Milano, 1995;*
- Habermas, J., L'inclusione dell'altro: studi di teoria politica, Milano, 1998;*
- Marramao, G., Dopo il Leviatano. Individuo e comunità nella filosofia politica, Torino, 1995;*
- Marramao, G., Potere e secolarizzazione. Le categorie del tempo, Roma, 1983;*
- MacIntyre, A., Dopo la virtù: saggio di teoria morale, Milano, 1988;*
- Nietzsche, F., Al di là del bene e del male, Milano, 1968;*
- Nietzsche, F., Schopenhauer come educatore, Torino, 1958.*
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