L’età ellenistica, che si fa in genere iniziare con la morte di Alessandro Magno nel 323 avanti Cristo, è caratterizzata dalla nascita di due nuove scuole filosofiche: la scuola epicurea, che sviluppa le dottrine degli atomisti presocratici, e la scuola stoica (con Zenone di Cizio, Cleante e Crisippo). Gli epicurei, che concepiscono un vuoto infinito nel quale i mondi sono fatti di atomi, ammettono l’esistenza negli intermundia di dèi beati simili agli uomini. Indifferenti agli affari umani, questi dèi sono molteplici: niente fa dunque pensare a una forma di monoteismo, nonostante le parole usate da Lucrezio nell’inno a Venere posto all’inizio del De rerum natura («poiché tu sola governi la natura»). Gli stoici, al contrario, contribuiscono potentemente a introdurre nel pensiero antico l’idea di un’unità del divino, dall’Inno a Zeus di Cleante fino ai Pensieri dell’imperatore Marco Aurelio. La teologia stoica è infatti legata alla cosmologia e si risolve in una fisica materialista: il cosmo è un vivente sferico e differenziato, permeato da un fuoco divino, che è anche Ragione universale, a un tempo principio necessario e provvidenziale di ciò che accade, norma delle condotte e regola del pensiero. Zeus è in un certo senso il “volto” o il nome di questo Logos, che è anche Destino, Provvidenza, Natura, e Mondo stesso in quanto razionale. In ogni uomo, il principio superiore è una particella o una scintilla di questa Ragione divina universale che guida la vita in modo conforme alla natura o alla ragione. Gli altri dèi non sono che figure allegoriche degli elementi o dei fenomeni che costituiscono il mondo. In questo senso, si può affermare che lo stoicismo presenta una concezione dell’unità del divino, ma essa resta materialista e immanente.
All’opposto, la dottrina introdotta da Plotino intende promuovere, al vertice del reale, un Principio Primo assolutamente trascendente, definito l’Uno (
to hen, in greco). Il pensiero plotiniano implica un superamento dell’ontologia greca classica dal momento che rifiuta il primato dell’essere eterno nel quale Aristotele aveva riconosciuto il Primo motore divino: questo essere, sostiene Plotino, non è autosufficiente e richiede anch’esso un fondamento trascendente, un Principio che non è ciò che produce e non possiede ciò che dona. Da questo Principio procede una “pluralità” che si converte immediatamente verso di Lui e si costituisce in Intelletto, il quale è anche Mondo intellegibile, unità organica, perfetta e vivente delle forme platoniche. Questo Intelletto divino è completamente autarchico ed esente dai bisogni, è eterno e beato. Da questo Intelletto che pensa se stesso procede l’Anima che ne è l’immagine: al pensiero intuitivo succede allora il pensiero razionale e discorsivo e le Forme dell’Intelletto si dispiegano nell’anima come “ragioni” (
logoi) che organizzano il Mondo fisico. I tre principi così gerarchicamente ordinati – l’Uno, l’Intelletto e l’Anima – sono dei modi differenti della stessa unità che si dispiega e si “pluralizza”. Il Principio Primo, che è ineffabile, trascende quindi l’essere che fonda. Gli dèi sono molteplici e derivano a loro volta dal rapporto con l’Uno. In definitiva, il neoplatonismo è simultaneamente un pensiero dell’Uno e la forma suprema del politeismo greco, sistematizzato, organizzato e unificato grazie a una corrispondenza rigorosa tra le gerarchie ontologiche e le gerarchie teologiche.
(da Ph. Hoffmann, Y a-t-il un monothéisme philosophique dans l’Antiquité?, in «Le monde de la Bible», 1998, CX, pp. 65-69).
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