Fiducia è un meccanismo, un dispositivo di riduzione della complessità. Fiducia non è un valore positivo dell’agire o dell’esperienza; non rappresenta una preferenza rispetto al suo opposto, non ha valore morale di preferibilità. Fiducia e sfiducia sono grandezze non convertibili. Dare fiducia ad altri o suscitare fiducia in altri non sono qualità morali, disposizioni buone, né preferibili o migliori in assoluto. Il riscontro della loro preferibilità è la situazione, la conferma della validità dell’orientamento alla fiducia può essere reperita solo nella dimensione temporale, l’accertamento dell’opportunità può essere dato solo dal futuro. La funzione della fiducia, infatti, si dispiega nella tensione fra presente e futuro. In questa tensione si proietta nel presente il dramma dell’incertezza e il rischio del non sapere. Il sapere, infatti, esclude il rischio e rende inutile la fiducia. Il non sapere, invece, impone al singolo, al sistema personale o sociale, la necessità di reperire un dispositivo di assorbimento dell’incertezza che rischia di paralizzare l’agire. Il problema, allora, è il tempo; lo spazio di questo tempo è il presente, una estensione temporale della cui durata ci si rende conto soltanto quando è finita, cioè quando è già diventata un passato. Lo spazio della fiducia è questo. Solo in questo spazio si può avere fiducia. In esso cioè si può costruire, sviluppare, mettere alla prova quella inevitabile avventura che è l’anticipazione delle aspettative dell’altro. Fiducia non è altro che questa anticipazione che orienta l’agire e l’esperire. Ma è un’avventura del presente che anticipa il futuro nella rappresentazione di colui che ha fiducia, perché si serve solo delle risorse di una propria prestazione effettuata in anticipo e costruita su una propria rappresentazione del mondo. Una risorsa esterna, una certezza, renderebbe inutile dare fiducia […]. La fiducia costituisce una mediazione tra la complessità del mondo e l’attualità dell’esperienza. Una mediazione drammatica, rischiosa, che si sostiene sul sapere di non sapere, che produce da sé le risorse che investe e con le quali si espone al futuro anticipandolo e all’altro rappresentandosi le sue aspettative […]. Fiducia non è affidamento all’altro. Fiducia non è il racconto dell’altro. Non ci sarebbe il dramma, non ci sarebbe neppure la possibilità di raccontare l’altro, se fiducia avesse a che fare immediatamente con l’altro. Fiducia ha a che fare con la propria rappresentazione dell’altro; essa è affidamento alle proprie aspettative dell’altro. Fiducia è esposizione del sé. Fiducia è abbandono al sé, per questo c’è il rischio, il dramma, la tensione.
(R. De Giorgi, Presentazione dell’edizione italiana, in N. Luhmann, La fiducia, Bologna, il Mulino, 2002, pp. XVII-XIX)*
Riferimenti Bibliografici
- P. Berger, T. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Bologna, 1969;*
- N. Luhmann, Illuminismo sociologico, Milano, 1983;*
- A. Schütz, La fenomenologia del mondo sociale, Bologna, 1974.*
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