Nonostante i loro fini politici diversi, Marx e Weber condividevano l’idea che il socialismo moderno fosse immanente al capitalismo moderno. Per questo, accanto al passaggio dal tradizionalismo al capitalismo moderno, essi tematizzarono anche il passaggio dal capitalismo moderno al socialismo moderno. A noi interessa invece il passaggio inverso.
Il passaggio dal capitalismo moderno al socialismo moderno è facile: si tratta di riassumere e accrescere, mediante la statalizzazione, le tendenze alla burocratizzazione già insite nel capitalismo moderno, e scambiare di posto i gruppi sociali che le realizzano. Viceversa, il passaggio dal monopolio statale socialista al capitalismo moderno è difficile, in quanto lo stato stesso deve operare la destatalizzazione della società, una società che dal canto suo (come si è osservato a proposito della Russia) si trova in una condizione non solo preborghese, ma addirittura “presociale”. Eppure è questa in definitiva la sola alternativa a un autoritarismo postsocialista, o ad un bolscevismo nazionale di sinistra o di destra. Se infatti questa costruzione fallisce, può forse nascere un capitalismo, ma non un capitalismo nazionale, piuttosto un capitalismo avventuriero e piratesco, di cui quella mafiosa è una delle incarnazioni più pericolose.
Il capitalismo moderno, fin dalla sua affermazione, non ha dovuto fronteggiare solo gli attacchi da parte del socialismo. Fin dall’inizio esso ha suscitato una sorta di disagio che si nutre di preoccupazioni morali. Proprio di recente si sono nuovamente rinfocolate le critiche morali al capitalismo “vittorioso”, sotto la parola d’ordine della rimoralizzazione dell’economia. Anche il capitalismo temperato dallo stato sociale e regolato dal diritto sembra dar luogo a tendenze non-razionali; infatti l’automatizzazione dell’economia, a seguito del passaggio al capitalismo moderno, si accompagna nello stesso tempo a una totale neutralizzazione morale dell’economia, una sua liberazione dai vincoli sociali, un suo “scioglimento”. Con ciò cresce però il pericolo di elevare a caratteri della società moderna in generale quelli che sono caratteri strutturali specifici di un settore, come la proprietà privata dei mezzi di produzione, l’azione economica tesa a massimizzare il profitto e il vantaggio, e la coordinazione di questa azione sui mercati.
Le ricerche di Max Weber sui presupposti del capitalismo moderno hanno due aspetti: l’analisi dello “spirito” e quella della “forma”. Tali analisi lo conducono a formulare due tesi: (1) per la nascita del capitalismo moderno risultano determinanti, fra l’altro, una serie di presupposti etico-religiosi; (2) tuttavia, il capitalismo moderno, una volta “in sella”, è una formazione a-morale o an-etica. Di queste due tesi, al tempo di Weber, era la prima a risultare provocatoria, non la seconda. La prima conduceva infatti ad affermare che la la religione non era soltanto una forza irrazionale, come aveva evidenziato la critica della religione. Anzi, Weber la considerava come una forza che promuove il razionalismo, in primo luogo quello religioso e in secondo quello secolare. Oggi però non è la prima, ma la seconda delle due tesi ad apparirci provocatoria. Infatti essa sembra legarsi all’affermazione per cui il capitalismo moderno stabilizzato fa completamente a meno dell’etica. Quando si parla di etica e capitalismo in Max Weber, non si tratta dunque, come si ritiene di solito, di una tesi, ma di due. E queste due tesi hanno una rilevanza differente per il problema dello smantellamento del socialismo statalista e per la questione, oggi nuovamente al centro di vivaci discussioni, della ri-moralizzazione del capitalismo.
Svilupperò queste due tesi in quattro passi. Dapprima esporrò il rapporto conflittuale di fondo tra religione ed economia, come lo inqudrava Weber. Poi affronterò il ruolo storico privilegiato che egli attribuisce all’ascetismo protestante. In seguito discuterò la sua concezione dell’amoralità delle socializzazioni capitaliste che avvengono mediante lo scambio sul “libero” mercato; infine getterò uno sguardo sul possibile ruolo dell’etica in riferimento alla situazione delineata all’Est come all’Ovest.
Riferimenti Bibliografici
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- M. Weber, Sociologia della religione, Comunità, Milano, 1982. *
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